Oggi nella knowledge economy le aziende si ritrovano a dover fronteggiare due nuove realtà: un mercato molto più mutevole e veloce rispetto al passato e dei consumatori sempre più informati, esigenti e attenti alla dimensione esperienziale di relazione con la marca.
In questo scenario i brand per emergere e mantenere un vantaggio rispetto ai competitor, hanno la primaria esigenza di indagare i comportamenti e le motivazioni dei consumatori, necessità che agli inizi degli anni 60 ha dato origine alle ricerche di mercato.
Oggi oltre alle ricerche di mercato tradizionali, la metodologia del neuromarketing rappresentare un nuovo punto di riferimento, più affidabile ed oggettivo nell’analizzare e comprendere i meccanismi decisionali profondi alla base di acquisti, preferenze o atteggiamenti.
Il termine neuromarketing fu coniato per la prima volta solo nel 2002 da Ale Smidts, premio Nobel per l’Economia e professore presso la Rotterdam School of management. Entrato a far parte del linguaggio comune da pochi anni trae origine da due diversi ambiti: il marketing e le neuroscienze, le discipline scientifiche che studiano ed analizzano i possibili comportamenti e le reazioni del nostro cervello.
Il neuromarketing utilizza tecniche di visualizzazione dell’attività celebrale, assieme ad altre tecnologie e sensori biometrici capaci di analizzare la risposta agli stimoli di comunicazione e marketing dei brand proponendosi obiettivi molto ambiziosi. Determinare scientificamente la risposta comportamentale dei consumatori, quella più profonda, emotiva e inconsapevole, ossia i veri driver decisionali.
Per sviscerare i legami esistenti tra esperienza e fedeltà ad una marca abbiamo incontrato Andrea Ciceri docente dell’International MBA della Rome Business School che ci ha detto:
“Il Neuromarketing è una metodologia che mira a comprendere l’esperienza e le dinamiche decisionali di un consumatore. E’nato negli Stati Uniti ed è diventato famoso con una ricerca che vide contrapposti due giganti dei soft drinks: Pepsi e Coca Cola. Questa ricerca scientifica dimostrò il potere detenuto della comunicazione, in quel caso dell’advertising, nell’influenzare le scelte degli acquirenti. Infatti, nonostante una preferenza netta in fatto di gusto per la Pepsi la Coca Cola continuava a dominare le vendite: non era il gusto che spingeva le persone al suo acquisto ma il potere evocativo del brand capace di attivare le aree funzionali del cervello, legate al ricordo e ai sentimenti.
E’ stato così dimostrato scientificamente il ruolo che le emozioni, i ricordi e più in generale le dimensioni più inconsapevoli e irrazionali hanno nelle nostre decisioni.
Assieme a queste ricerche scientifiche, le scelte comportamentali ci ricordano come il processo decisionale si basi fino al 95% su dimensioni emotive e inconsapevoli.
Le neuroscienze dimostrano che nel processo di scelta si attivano prima le aree funzionali del cervello deputate all’elaborazione emotiva e solo successivamente quelle più recenti e esterne che elaborano lo stimolo da un punto di vista invece razionale. Tradotto: prima elaboriamo lo stimolo a livello emotivo poi razionale. Senza che ce ne rendiamo conto, la decisione di acquisto avviene in questo modo”.
Le aziende sono quindi sempre più consapevoli di queste dimensioni e cominciano ad avvalersi delle analisi comportamentali attraverso la metodologia di neuromarketing. La metodologia di neuromarketing ha ormai dimostrato che analizzare i dati comportamentali con le tecniche scientifiche che la caratterizzano garantisce risultati affidabili con cui valutare l’efficacia di una strategia di marketing, comunicazione o vendita.
La ricerca di mercato tradizionale per comprendere le scelte dei consumatori e soddisfare i loro bisogni e le loro aspettative si è sempre servita di strumenti quali questionari, focus group e interviste. Nelle ultime decadi la globalizzazione ed i progressi delle nuove tecnologie hanno profondamente mutato la società.
Il successo di un brand, oggi, non dipende più esclusivamente dalla qualità dei prodotti o servizi proposti ma dalla loro dimensione simbolica, dalla loro memorabilità e dalle esperienze che garantiscono al consumatore.
I consumatori, soprattutto i più giovani, sono attenti alle azioni pratiche e tangibili poste in essere dai marchi: un cambio di passo sostanziale che ha costretto il marketing ad adattarsi alle nuove dinamiche di mercato.
“Da quando si è scoperto che è l’emozione assieme a fattori inconsapevoli e irrazionali a guidare il consumatore, le ricerche di mercato tradizionali non sono più sufficienti ad esplorare le motivazioni delle scelte. I questionari, le interviste e i focus group basati sul richiedere di esprimere verbalmente un giudizio a un rispondente, non sono sempre in grado di intercettare la sfera emotiva che, come detto, è la vera spinta verso gli acquisti. Il neuromarketing, invece, utilizza dei tools, delle tecnologie che vanno ad isolare la dimensione comportamentale in modo scientifico. Un altro elemento che è alla base della differenza tra marketing e neuromarketing è rappresentato dal campione preso in considerazione. La ricerca di neuromarketing è basata su un cluster piccolo di mercato nel quale con 15-20 soggetti si ottiene già un dato di ricerca affidabile. Naturalmente per una ricerca internazionale o su target multipli un campione di 15 soggetti non è più significativo né sufficiente. Vorrei comunque sottolineare che il neuromarketing non deve essere visto come un sostituto della ricerca tradizionale, bensì come uno strumento integrativo, proprio perché i due approcci, coniugano la decodifica cognitiva e quella comportamentale/emotiva così da ottenere una visione globale del percepito del consumatore. Mi preme però ricordare anche che non esiste una metodologia definitiva/standard per fare ricerca. Esistono tante metodologie, sta al professionista individuare quella più adatta.”
Le ricerche di neuromarketing sono di grande utilità per il marketing aziendale perché capaci di individuare elementi decisivi per l’affermazione e distinzione di un brand.
“Il Neuromarketing è una disciplina che seppur recente, è in continua evoluzione. I nuovi trend sono fondamentalmente quelli legati allo sviluppo delle tecnologie e degli algoritmi di analisi. Nel prossimo futuro i device portatili come orologi, bracciali e visori saranno dotati di tecnologia capace di monitorare dati fisiologici utili a decodificare l’esperienza vissuta dal consumatore. La diffusione di questi sensori, impiegati nei device tecnologici di uso comune permetteranno di accedere da remoto a mercati internazionali con un interessante risvolto per una raccolta dati semplificata. Inoltre, con l’ausilio dell’Intelligenza artificiale, con un buon margine di approssimazione, ci si propone l’obiettivo di predire il comportamento dei consumatori, naturalmente non prescindendo dalla presenza del professionista che analizzerà i dati perché l’intelligenza artificiale non arriverà mai a sostituire l’esperienza dell’uomo.”
Sono moltissime le aziende, soprattutto le grandi multinazionali, che hanno verificato le potenzialità del neuromarketing, considerato uno dei dieci modelli di innovazione che cambieranno il modo di fare business nei prossimi anni, proprio perché rappresenta l’approccio ideale per analizzare qualunque condizione in cui vi è una relazione tra stimolo e risposta comportamentale.
Se utilizzato correttamente e nel rispetto dell’agire etico, può realmente portare alla comprensione profonda delle reazioni dei consumatori di fronte a una pubblicità, un prodotto, un packaging, o per un’interfaccia digitale.
Anche i settori in cui si può applicare sono molteplici. Ovviamente alcuni hanno maggiore interesse verso il neuromarketing. Pensiamo ad esempio al food and beverage o al digital, e più in generale in quei settori in cui è strategico studiare un processo decisionale di una persona.
Il neuromarketing si può applicare quindi in tutti i settori del marketing e della comunicazione ma può trovare applicazione anche nelle tecniche di vendita o nell’ambito delle human performance applicandolo all’empowerment delle soft skills, o alla gestione dello stress.
“I professionisti più richiesti nell’ambito delle ricerche di neuromarketing sono i data scientist per l’elaborazione dei dati comportamentali, chiamati anche small data, che vengono estratti e raccolti attraverso le nuove tecnologie di neuromarketing.
Anche la figura del ricercatore di neuromarketing è una figura richiesta, ossia il professionista che si occupa di condurre una ricerca, così come quella del Behavioral Specialist, solitamente uno psicologo con competenze di psicologia comportamentale.
Il mio consiglio è quello di specializzarsi in neuromarketing, anche se poi non si applicherà nello specifico la professione. Il motivo è semplice. Come azienda o professionista del marketing, della comunicazione o della vendita, comprendere il comportamento umano e del consumatore è fondamentale per rispondere in modo coerente ed efficace ai driver decisionali. Quando si osserva e si studia il comportamento umano nessun comparto aziendale ne rimane escluso: le risorse umane, il management, l’esercizio della leadership. Naturalmente essendo una disciplina in evoluzione, così come il comportamento umano del resto, sarà necessario sviluppare mindsets diversificati attraverso il lifelong learning, con percorsi di formazione differenziati“.
Dopo aver conseguito un dottorato di ricerca in Neuromarketing e Psicologia dei consumatori, ha fondato SenseCatch, società specializzata in servizi innovativi di ricerca e consulenza di mercato. E’ autore di diverse pubblicazioni scientifiche e contributor di libri, riviste e conferenze sui temi delle neuroscienze applicate al marketing, comunicazione e vendita. E’ stato visiting researcher al SenseLab, il primo laboratorio di neuromarketing fondato in Europa presso il dipartimento di Mrketing della Copenaghen Business School. In SenseCatch combina metodologie di ricerca classiche come interviste o focus group quelle neuroscientifiche con l’obiettivo di rendere disponibili informazioni sempre più dettagliate, accurate e oggettive con cui analizzare il mercato di riferimento e ottenere insights strategici. Collabora con centri di ricerca e università italiane ed estere per progetti innovativi di ricerca e sviluppo sull’applicazione delle neuroscienze al marketing, alla psicologia e al comportamento organizzativo.