Nel corso delle ultime decadi il settore del commercio nel suo insieme e le pratiche commerciali delle imprese hanno subito profondi mutamenti.
Molti studi, rivolti ad illustrare i risvolti sociologici dell’acquisto, hanno evidenziato come si sia verificato un significativo cambiamento nel comportamento dei consumatori, orientati non più unicamente alla naturale risposta ad un bisogno primario quanto, invece, alla ricerca di emozioni ed esperienze plurisensoriali esercitati negli store, che il più delle volte finiscono per dominare le reali necessità e spingere così all’acquisto.
Negli anni ’70 due psicologi statunitensi Mehrabian e Russell hanno sviluppato un modello teorico applicato al contesto retail, il PAD, volto a descrivere e analizzare le tre dimensioni, Pleasure, Arousal, Dominance che guidano le risposte emotive agli stimoli ambientali. La prima riguarda le emozioni legate alla soddisfazione e al piacere; la seconda quelle relative all’eccitazione e alla stimolazione; l’ultima è connessa al grado di controllo dell’ambiente.
Tale modello, basato sul frame-work cognitivista stimolo-risposta, consente di delineare l’evoluzione dello shopping experience, inteso come interazione tra brand e consumatore: una comunicazione omnicanale con forme di linguaggio contaminate, dove il visual merchandising cattura l’acquirente per suscitare una risposta emotiva attraverso percorsi visivi, musicali e olfattivi.
Il negozio, points of sale, si carica allora di una forte strategicità: un ambiente fisico che si trasforma in un luogo di socializzazione, points of meeting, dove si sperimenta anche il complesso di significati associati all’identità della marca, in cui è piacevole trascorrere parte del proprio tempo libero. In questo nuovo contesto il consumatore assume una diversa posizione, una sorta di ruolo chiave che lo vede coinvolto, appunto, ai più diversi livelli: razionale, emotivo, sensoriale e fisico.
“Il visual merchandising è una disciplina amplissima, che si è evoluta nel corso degli ultimi 20 anni, la cui importanza è finalmente stata compresa da molte aziende – del luxury e del fast fashion – perché coordina i diversi livelli e linguaggi di comunicazione del brand, come ad esempio la corporate identity, il design corporate, l’interior design e il packaging dei prodotti a marchio proprio.
Il punto vendita in questa ottica si trasforma in una window a 360 gradi, rimarcando il suo valore aggiunto nel sistema globale della moda, facendo leva sugli aspetti simbolici e iconici dei brand. Si è costruito così un modello di customer value e di experential focus, per il soddisfacimento del consumatore che nella narrazione diventa la user experience che rende il cliente protagonista di momenti indimenticabili.
Allo stesso tempo la shopping experience collegata al tatto lascia spazio a un tipo di esperienza “virtuale” verso il metaverso: realtà che ci ricordano giochi di ruolo come The Sims e l’ormai quasi sorpassato Second Life.”
Comunicazione ed immagine interagiscono in maniera sinergica e complementare nella storia di ogni azienda e rappresentano due elementi strategici del marketing, che implicano una l’interazione continua con i diversi target di riferimento per mantenere il vantaggio competitivo in un mercato sempre più veloce e in evoluzione.
In questo processo l’approccio human-centered, sviluppato dall’Università di Stanford, ci mostra come scienza, psicologia e tecnologia entrano in gioco per disegnare un prodotto volto a creare interesse ed empatia, sia per quanto riguarda i fattori materiali che quelli immateriali.
“Quando parliamo di design penso alla progettazione di uno store, costruito partendo da un concetto o da un elemento che rappresenti poi le linee guida per tutte le scelte relative all’atmosfera che si vuole creare in quel determinato luogo. All’inizio della mia carriera professionale mi sono concentrato sulle vetrine, perché venendo da studi di scenografia ero conscio che le window sono molto importanti, perché è proprio qui che inizia il percorso percettivo dei consumatori che ricercano punti di riferimento certi sin dall’ingresso di uno shop. Ricordo i miei primi allestimenti nei quali creavo sculture contaminando materiali e linguaggi, ad esempio gommapiuma e plastica: trasformavamo così in palchi gli spazi a me affidati, nello sforzo di renderli tridimensionali e mai statici.
Non bisogna pensare però che basti la creatività, sarebbe una visione riduttiva: chi si occupa di design deve possedere competenze che affondano le radici in psicologia e sociologia. Si deve inoltre essere dotati di gusto estetico per far si che tutti gli elementi si fondino in modo armonico rispecchiando la visione e la mission del brand. In questo momento le discipline che si fondono nel visual merchandising sono molteplici e quello che stimolano di più il mio interesse sono appunto quelle che coinvolgono i diversi tipi di linguaggio artistico. In linea di massima molte volte ci ritroviamo di fronte al design delle vetrine o del prodotto stesso che tendono solo a ripetere se stessi nel tempo senza darci quel momento di “shock” che ci porta a fotografare la vetrina o il prodotto stesso.
Al contrario design creativo significa anche superare determinati limiti che sono quelli collegati alla “realtà” ed appunto più connessi al mondo virtuale, il rendering 3D, la stampa 3D, l’intelligenza artificiale, gli NFT, i QR Code sono tutti strumenti che sono al servizio del design.”
Il visual merchandising coinvolge tanto l’industria della moda quanto la sua distribuzione perché la soddisfazione del consumatore unisce i due attori nelle rispettive azioni di marketing. Nella distribuzione il marchandising definisce una serie di azioni: dal layout delle attrezzature fino al display merceologico.
E’ bene che di un’azienda siano note tutte le manifestazioni concrete, anche minime, di attenzione al cliente, elementi questi che incrementano e valorizzano la sua reputation.
“Se prendiamo in esame un elemento importante come la percezione della vicinanza di un brand ai target di rifermento, non possiamo non citare il colosso del fast fashion Zara, che immediatamente dopo il termine dei lockdown da covid 19, quando si aveva ancora il timore di entrare nei negozi, aveva inserito negli allestimenti delle vetrine un Qr Code che permetteva di visualizzare sugli smart phone i capi della collezione presenti nello store. Questa attenzione ha naturalmente influenzato positivamente la clientela perché ha fatto comprendere come l’azienda si compenetrava nei loro sentiment.
Ed ancora, la crisi sanitaria ha fortemente trasformato le abitudini di acquisto spingendo verso gli acquisti on line. Fortunatamente le nuove tecnologie e le nuove piattaforme hanno consentito che aziende come Gucci, Balienciaga e Burberry permettessero, con una semplice applicazione collegata alla fotocamera dello smart phone, di “indossare” e quindi “provare” nelle proprie case gli articoli scelti, come ad esempio sneakers e occhiali.
Sul versante dell’inclusivity vorrei citare Vestiare Collettive – che per la nuova campagna di comunicazione – ha ideato 5 “shop assistants” creati con abiti riciclati: Miss classic, Lady green, Rich, Hunter, Drop, che incarnano diversi attitudini e stili di moda. Il messaggio lanciato alla community di riferimento è chiaro: bisogna incoraggiare il cambiamento nel mondo del fashion verso la sostenibilità, l‘economia circolare e il genderless. Questa campagna incarna alla lettera i dettami che sono alla base della costruzione della brand identity: ovvero riconoscere il brand come una persona ed esserne attirati. Inoltre, è rimarcabile la grande capacità di storytelling che ne è alla base.”
Le radicali trasformazioni che hanno caratterizzato la distribuzione al dettaglio hanno determinato un sempre crescente interesse nei confronti del merchandising.
In questo scenario il punto vendita rappresenta il mezzo di comunicazione più vicino al consumatore e per avere successo è indispensabile, come detto, fornire al cliente l’opportunità di vivere esperienze emotivamente coinvolgenti, attraverso racconti innovati. Infatti, la caduta del ricordo, ovvero la tendenza a dimenticare – fenomeno chiamato duration neglect – è un processo molto rapido. Per accentuare la memorabilità delle esperienze sbalorditive, un nuovo approccio del marketing, che fa leva sulla psicologia e le neuroscienze, mira ad accentuare i picchi emotivi per creare un wow moment che si compone di tre elementi: l’apprezzamento (enjoyment), l’esperienza (experience) e il coinvolgimento (engagement).
“Quando si parla di wow moment non possiamo non citare il lavoro dello XAG Studio di cui abbiamo vari esempi di allestimenti incredibili. Quelle per la campagna “i’m a plastic bag” per Anya Hindmarch, un intero negozio riempito di bottiglie di plastica: un esempio di come si possono trattare argomenti “sulla cresta dell’onda” senza risultare retorici. Del resto non è la prima volta che questo studio ci stupisce utilizzando un mix di nuove tecnologie. Come nel negozio Sephora del Dubai Mall dove aveva allestito le vetrine con un grande schermo LED che “catturava” il passante trasformandolo in un supereroe che dominava fulmini, saette e sfere di energia. Il geniale layout rimandava alla collezione di make-up “Magnetic”.
Il Compratore vuole essere trasportato nel mondo virtuale: ad esempio acquistando un capo DIESEL si ha diritto ad avere la copia NFT nel metaverso, permettendo ai propri avatar di indossarlo e rendersi riconoscibile da una determinata tribù anche nella realtà virtuale. In questo caso lo shopping si trasforma in spazio di entertainment, soprattutto per la generazione Z, sempre più eclettica esigente e multimediale”
“Chi si occupa di retail design e di visual merchandising non può prescindere dalle conoscenze basilari legate alla storia della moda, agli studi umanistici e dell’armocromia. Queste materie troppo spesso vengono tralasciate erroneamente, perché a mio giudizio non si può comprendere a fondo la nuova tecnologia senza una conoscenza profonda di quello che poi la stessa applicherà.
Naturalmente oggi è richiesta la padronanza dei programmi relativi al rendering e alla progettazione in 2D e 3D e di tutti quegli strumenti connessi al nuovo modo di fare acquisti (NFT, NFC, Qr Corde etc.).
Sotto l’aspetto dei profili professionali sono molto richieste le figure legate alla user experience e alla user interface: le applicazioni sono innumerevoli dal momento che lo shopping experience si è spostato dal tattile al digitale. Sempre in questo ambito è nata la nuova figura dell’user interface designer, che ha il compito di disegnare le app che migliorano l’usabilità del sistema e facilitano l’interazione.
In tutto questo però non dimentichiamoci dell’artigianato inteso come arte della manualità, perché se è entusiasmante lavorare in digital è meraviglioso costruire un manichino in forma tattile. E se la Maison Valentino, nonostante l’evoluzione in campo digitale, non dimentica l’artigianato … un motivo ci sarà!”