La globalizzazione del mondo del lavoro, l’introduzione della tecnologia informatica e la riorganizzazione interna, con matrici volte alla valorizzazione del capitale intellettuale, hanno prodotto importanti cambiamenti nelle aziende.
Per poter sopravvivere in realtà in rapide evoluzioni, non sempre prevedibili, le organizzazioni economiche devono essere disposte ad un continuo mutamento, quando possibile, delle strutture, dei processi e talvolta anche degli scopi.
In un contesto contraddistinto da rinnovati paradigmi la comunicazione organizzativa arriva ad assumere un ruolo di primaria importanza e solo una corretta, lungimirante ed etica gestione delle risorse umane é in grado di garantire la stabilità e di conseguenza il successo di un‘azienda.
Infatti è proprio attraverso la comunicazione organizzativa che si possono apportare quei cambiamenti importanti per la realizzazione di un nuovo modo di fare impresa, per favorire l’innovazione, il funzionamento delle strutture centrali e decentrate e porre in essere strategie operative in una prospettiva di superamento di quei processi critici come la complessità di gestire il conflitto organizzativo, il clima emotivo nel team e instaurare rapporti improntati sulla fiducia reciproca.
Il termine Life Skills si riferisce ad un insieme di conoscenze, azioni, attitudini e valori che rappresentato degli strumenti utili per raggiungere i propri obiettivi personali e professionali.
Analizzando il campo di studio delle Life Skills, descritte nel 1992 dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità nella pubblicazione “bollettino n. 1”, emerge l’importanza di un nucleo fondamentale di abilità raggruppate in 3 aree: emotive, relazionali e cognitive. La prima area comprende l’autoconsapevolezza, la gestione delle emozioni e dello stress; la seconda include l’empatia, la comunicazione efficace e la competenza relazionale, infine l’ultima è costituita dal decision making, dal problem solving, dalla creatività e dal pensiero critico.
Naturalmente le competenze che possono rientrare tra le Life Skills differiscono in base alla cultura e al contesto di riferimento.
I nuovi modelli organizzativi puntano sull’individuo e sul suo capitale intellettuale come nucleo portante e punto di riferimento per l’intero management. Ci siamo confrontati su questi temi con la dottoressa Gloria Meneghini docente del Master in Human Resources Management e del Master in Corporate Communication presso la Rome Business School che ci ha detto:
“Nella mia esperienza c’è ancora in parte una errata percezione relativamente alle soft skills: alcuni ritengono che significhi essere gentili o non esprimere completamente la propria opinione per non entrare in contrasto con i propri interlocutori.
Le soft skills sono al contrario delle vere e proprie competenze: lavorando con imprenditori, consulenti e direttori di azienda, quello che emerge nel mio contesto di riferimento è che quelle abilità identificate come soft skills possono essere, al contrario, considerate le nuove hard skills. Dal mio punto di vista la capacità di comunicazione assume un ruolo decisivo tra le skills e ancor di più la abilità di comprendere gli stili di comunicazione. Per poter fare questo è necessario distinguere tra contenuto e relazione ed imparare ad utilizzare lo strumento del feedback – etimologicamente feed significa “nutriente”- che è un altro momento fondamentale e migliorativo delle relazioni che ritengo strettamente legato alla creazione di una cultura di fiducia. Naturalmente parliamo di feedback bottom up e top down.
Infine, è fondamentale la capacità di adattarsi al cambiamento che significa saper prosperare nell’incertezza, come teorizzato dal matematico e filosofo libanese Nassim Nicholas Taleb, autore del volume “Il cigno nero”, che ha descritto come un singolo evento, appunto il cigno nero, possa essere sufficiente a invalidare un convincimento acquisito.”
Uno dei temi cardini nella knowledge economy riguarda il livello di engagement dei dipendenti e gli strumenti che le aziende devono mettere in campo per trattenere i migliori talenti per garantirsi il successo in un mondo del lavoro in continua evoluzione. Welfare aziendale, work-life balance, piani di crescita ma anche interazione, condivisione di valori e collaborazione nel team: sono queste le chiavi determinanti che aumentano il senso di appartenenza a un’azienda. Il Team Building ha il fine di promuovere l’integrazione tra gruppi, e punta ad aumentare la motivazione dei dipendenti e di conseguenza la loro produttività.
La filosofia del Team Building affonda le sue radici negli studi sulle dinamiche di gruppo dell’inizio del secolo scorso. Tra i primi ad approfondire il concetto di gruppo spiccano le figure degli psicologi sociali Kurt Lewin e Bruce Tuckman. L’idea principale di Lewin era che “il gruppo è più della somma delle singole parti”.
Ancora più significativo l’approccio di Tuckman che mise a punto un modello di evoluzione dei rapporti di gruppo in ambito lavorativo teorizzando cinque fasi che costituisco le basi teoriche e pratiche del team building: il forming, lo storming, il norming, il performing e l’adjouring.
“Il Team building a mio modo di vedere è un di cui: un modo, non l’unico naturalmente, che aiuta a riflettere, a mettere in pratica l’importanza di lavorare in un contesto dove si sperimenta la capacità di saper comunicare con paradigmi diversi dai propri – capire il tuo stile e adeguare il mio – e dove l’elemento fiducia diventa un fattore chiave, perché la fiducia genera fiducia e consolida il team.
Le attività di team building, che si sostanziano in team experience, team game e role-playing game, sono ottime opportunità per promuovere lo spirito di squadra e una gestione inclusiva delle risorse. Le attività vengono create ad hoc, per stimolare il miglioramento delle performance, lo sviluppo delle competenze trasversali e la crescita personale. Si assiste ad un’attenzione crescente delle aziende verso queste tematiche anche in una visione di comunicazione con culture di origini diverse. Un elemento questo emotivamente coinvolgente non solo dal punto di vista professionale ma anche umano.”
Nel contesto lavorativo in cui ci si trova ad operare quotidianamente spesso si riscontrano situazioni conflittuali.
La gestione dei conflitti è una delle skills che un project manager deve saper padroneggiare ed è una capability che coniuga la mediazione e la negoziazione, perché proprio attraverso queste strategie di gestione costruttiva del conflitto è possibile riuscire a consolidare il team.
Secondo le analisi di Kenneth Kaye, uno psicologo sociale statunitense che si è dedicato allo studio degli atteggiamenti dei gruppi sociali e della risoluzione dei conflitti, nessun contrasto è riconducibile ad un solo fattore, ma tende ad essere prodotto dalla co-presenza di vari elementi: personali, ambientali, endogeni ed esogeni. Secondo Kaye alcuni conflitti danneggiano il processo, altri al contrario sono in grado di apportare grandi benefici al team di lavoro perché in grado di stimolare la creatività, la sinergia e soprattutto pluralità di opinioni.
“Affrontando il tema del conflict management ritengo chela capacità di allenare la pazienza è molto sottovalutata. Di fronte a contrasti evidenti innanzitutto bisogna chiedersi quale sia il tipo di conflitto che ci troviamo a dover risolvere: di personalità, di comunicazione, organizzativo o di processo. Infatti, le soluzioni e le risposte ai nostri quesiti mutano in base al contesto. Ecco allora che ritorniamo all’assunto della necessità di sottolineare la differenza tra contenuto e relazione. Se ci troviamo di fronte ad un problema di contenuto, ad esempio legato al processo, la soluzione si troverà in una ri-organizzazione interna.
Se al contrario il problema è di tipo relazionale ci si dovrà concentrare sugli stili di comunicazione. Ovviamente le situazioni reali sono sempre più complesse, però avere una matrice teorica aiuta ad essere analitici e più pragmatici negli interventi richiesti.
Nella mia esperienza, non parlo in valori assoluti naturalmente, ho potuto constatare che le problematiche più chiare da interpretare e da risolvere sono spesso legate alla gestione delle emozioni soprattutto per i quadri aziendali e i top manager.”
Gloria Meneghini, nasce in una famiglia di imprenditori, dove pragmaticità, ricerca di soluzioni e continua innovazione sono all’ordine del giorno. Ad oggi, lo stesso approccio e la stessa passione la contraddistingue nella sua attività di consulente e trainer nel campo della comunicazione e dell’organizzazione aziendale. Crede nell’importanza di costruire percorsi esperienziali basati sulle esigenze del singolo e del team per potenziarne lo sviluppo. Ha lavorato e lavora in progetti di instructional design, di sviluppo e implementazione di progetti di formazione in italiano e in inglese per contesti aziendali e organizzativi italiani e internazionali. È Docente ai Master Internazionali di HR, MBA e Marketing e Comunicazione per Rome Business School.