Dopo la crisi economica 2008 – che si è guadagnata un posto di rilievo negli annali di storia economica – conseguenza diretta dello scoppio della bolla immobiliare americana, della crisi delle grandi banche d’affari e del fallimento di Lehman Brother, si è affermato con forza all’interno del mercato globale un nuovo modello di impresa: le startup.
Sarebbe però riduttivo ricondurre la nascita di questo nuovo attore economico ad una mera risposta alla crisi economica e alla disoccupazione, perché il fenomeno delle startup, nato nella Silicon Valley, era già noto fin dall’inizio degli anni ’90. Le startup, infatti, rappresentano un importante fattore d’innovazione che non coinvolge unicamente il settore industriale e tecnologico ma anche il capitale cognitivo e l’intera organizzazione della struttura imprenditoriale di riferimento, con rilevanti implicazioni sul ruolo, sulla qualità e sulle competenze del capitale umano.
La nascita delle startup, e il loro deciso proliferare, stanno dimostrando di essere, oggi, i motori strategici dell’economia e si prevede che svolgeranno un ruolo sempre più determinante negli anni a venire.
Abbiamo voluto approfondire la tematica con Lucrezia Argentino Coordinatrice di RBS4Entrepreneurship, il programma di imprenditorialità dedicato agli studenti della Rome Business School alla quale abbiamo chiesto quale ruolo giocherà l’imprenditoria innovativa nello sviluppo economico globale ed italiano e, soprattutto, quali sono i momenti fondamentali della vita di una startup.
“Il fenomeno delle startup è in continua evoluzione in Italia e nel contesto internazionale. In questo scenario gli imprenditori, e in particolare i più giovani, cercano sempre nuovi stimoli per avviare le proprie idee di business e soprattutto per trovare il modo di comunicarle e arrivare così al loro finanziamento. Il picht, rappresenta un momento fondamentale, se non il più importante, nella vita di una startup. È uno strumento di supporto che contiene tutte le informazioni necessarie da presentare ai possibili investitori per persuaderli al finanziamento. E’ il racconto dell’idea, il primo touchpoint con il quale convincere gli stakeholders. Deve essere costruito facendo leva sull’aspetto emozionale del prodotto: lo storytelling dovrà intercettare il sentiment e gli interessi del target identificato, seguendo il principio del customer personas, creando cioè una correlazione tra l’idea e i bisogni del mercato. La narrazione deve contenere gli elementi del contesto, del problema e la conseguente soluzione ed ha la funzione primaria di creare empatia. Secondo alcuni imprenditori il picht viene anche prima del cosiddetto product market fit, prima della validazione del prodotto e del cosiddetto MVP, il minimun viable product.”
L’idea è sempre il punto di partenza di ogni azione che deve poi trasformarsi in un progetto concreto per essere realizzata. In questo contesto la validazione di un’idea gioca un ruolo determinante per comprendere la sua reale potenzialità di essere prima economicamente sostenibile e poi di generare profitto.
Un processo che si compone di una serie di attività tra le quali le ricerche sugli stakeholder, sul mercato di riferimento, sui potenziali clienti con il relativo potere di acquisto e sui competitor. Immediatamente dopo si passa alla fase della validazione che si compone di due momenti: la validazione del problema, cioè la correlazione tra il problema individuato e la soluzione offerta e la validazione della soluzione ovvero la verifica che l’idea proposta sia in linea con i bisogni del consumatore.
“Come detto il picht è il biglietto da visita di una startup e la sua ideazione cambia a seconda del target di riferimento. Se il finanziatore è un fondo di investimento la presentazione dell’idea dovrà insistere maggiormente sull’aspetto finanziario, sul business canvas, sul revenue model. Il passo successivo al picht è la validazione dell’idea, ovvero tutte quelle azioni che compongono il processo in cui si testa e si convalida la propria soluzione prima di aprirsi al mercato. Anche questo passaggio è molto delicato perché è determinante per il prosieguo della vita della startup: validazione significa chiaramente aver avuto una risposta positiva da quello che si è identificato come il mercato di riferimento. Per compierla, si presenta agli investitori il cosiddetto MVP, una versione primordiale creata con qualsiasi strumento messo a disposizione dalla tecnologia che preveda dei costi non esagerati, per testare la reazione del target.”
Il ciclo di vita di una start up si compone di momenti ben definiti che vanno dalla nascita dell’idea di business fino alla exit, il momento in cui, giunta la piena operatività e terminato il finanziamento, la startup viene acquisita da un’azienda più grande.
Il growth, rappresenta il 70% del lavoro restante, perché arrivare sul mercato è importante ma poi bisogna crescere e scalare.
Scalare e crescere sono 2 concetti che possono sembrare simili ma non lo sono, perché la scalabilità, momento cardine del mondo startup, è una crescita in verticale che consente la minima spesa, rimanendo abbastanza stabili con i costi di produzione e di infrastruttura. Tutto ciò è possibile anche grazie alle tecniche di marketing che ruotano intorno alle startup e che ultimamente stanno facendo proprie anche le grandi aziende. Penso ad esempio alle attività calibrate sui dati come il growth hacking, e il growth marketing. I dati, le metriche e gli insight sono ormai strumenti indispensabili per una crescita più rapida, efficiente e senza sprechi in economics”.
Numerosi studi evidenziano l’aumento della consapevolezza relativamente all’importanza e al ruolo che hanno assunto le imprese digitali all’interno del sistema economico, che si riflette anche in una crescita dell’occupazione e del PIL.
Le startup si differenziano dagli altri modelli di business per la loro forte dipendenza verso fornitori esterni di risorse, soprattutto finanziarie.
Infatti il ricorso all’ autofinanziamento risulta essere molto poco percorribile per questo tipo di imprese, dove il rischio di fallimento è altissimo. Per superare questa che è certamente considerata una delle più delicate criticità per una startup si sono sviluppate, parallelamente alle forme “tradizionali” di finanziamento delle nuove modalità attraverso le quali fondatori e finanziatori interagiscono, come ad esempio i fondi di venture capital e i business angels.
I venture capitalist, soci temporanei della star up, sono investitori professionisti che finanziano con lo scopo di realizzare un capital gain che ha il fine di creare valore; i business angels sono investitori privati che decidono di prendere parte al finanziamento del capitale di rischio di una nuova impresa. Da sottolineare che nella knowledge economy la capacità innovativa del fenomeno startup ha permesso una intensificazione delle relazioni di cooperazione e di sinergie tra istituzioni, imprese e investitori.
Il successo di una nuova iniziativa imprenditoriale è sempre più difficile da raggiungere senza la predisposizione di strumenti atti a coniugare il capitale intellettuale con la gestione della complessità tecnologica ed economica. Senza dubbio un fattore da considerare è rappresentato dalle attitudini dell’imprenditore soprattutto nella creazione di un teamcapace di trasmettere una vision e una mission attrattiva per gli investitori e coeso sotto il punto di vista tecnico ma anche sotto il profilo umano e sociale.
“Oggi è necessario avere una gestione delle persone che vada oltre, anzi che possa essere l’elemento di innovazione attraverso la valorizzazione del fattore umano. La leadership come sappiamo non si esprime più soltanto con un canale verticale discendente: l’approccio one man show, il one woman show non è un elemento caratteristico del mondo delle startup. Un buon startupper deve infondere un sentimento di positività alla sua squadra per contrastare i momenti di crisi, che possono essere molti.
La vita dello startupper è definita da scadenze: per definizione ha una partizione dei tempi molto ristretta caratterizzata da velocità, sprint, release, che deve rispettare anche le richieste degli investitori e i momenti di stress devono essere superati con il coinvolgimento di tutte le risorse e di tutte le competenze del team. Il perfetto imprenditore deve possedere, non solo come vocazione personale ma anche come skills, un atteggiamento di problem solving e di critical thinking al quale si accompagnano strumenti tecnici come il design thinking, il project management che è certamente una competenza determinante.”
I motivi per cui le startup hanno successo oppure falliscono sono molteplici. Possono dipendere dalla domanda e dall’offerta del mercato, dall’errata pianificazione aziendale, dalla non corretta gestione finanziaria o da un team senza le adeguate competenze. Molti studi rilevano che il fallimento delle giovani imprese si manifestino principalmente nei primi anni di vita.
“La percentuale di fallimento per una startup è altissimo: 9 su 10 non reggono il lancio sul mercato. Il rischio maggiore è quello di non aver validato bene l’idea e di non trovare una reale domanda per il nostro prodotto/servizio. L’errore più grande è quello di poter pensare di fare tutto da soli. E’ dunque importante affidarsi a degli advisor che affianchino il percorso della star up con business model, prima ancora di redigere il business plan, costruiti in modo che si adattino rapidamente alla realtà e siano facilmente aggiornabili, perché il contesto delle startup è in continua evoluzione.”
Secondo i dati del Mise, il Ministero dello Sviluppo economico in Italia tra il 2001 e il 2021 sono state registrate oltre 14.000 startup che si occupano di produzione di software, di ricerca e sviluppo o che offrono servizi alle imprese. Sempre secondo il report del Mise nel quarto trimestre 2021 il 71,37% delle nuove srl si occupano di ricerca e sviluppo e il 45,21% di quelle attive nello sviluppo di software sono registrate come startup innovative, cioè ad alto tasso tecnologico. I Governi nel corso delle varie legislature hanno stanziato vari incentivi per aiutare queste giovani realtà imprenditoriali, considerate fonte di innovazione e di crescita economica.
“Il panorama nel nostro Paese è sicuramente in crescita, stiamo recuperando terreno rispetto al contesto internazionale, soprattutto quello anglosassone. I nostri imprenditori hanno in media 41 anni: in Europa l’età media si assesta ai 38, negli Usa scende intorno ai 33-35 anni. In Italia inoltre c’è da superare anche il gender gap. Le donne imprenditrici sono una netta minoranza e si occupano del filone delle startup a forte impatto sociale, che sono purtroppo anche quelle molto meno finanziate rispetto a quelle con un alto tasso di tecnologia, a cui sono molto interessate le grandi aziende, che hanno bisogno di nuove tecnologie e che cominciano ad entrare nel mercato come investitori, supportando le startup anche con programmi di open innovation.
Sotto questo punto di vista accade sempre più spesso che la startup non operi la exit ma diventi fornitore di aziende, una sorta di società di consulenza “tecnica-tecnologica”.Vorrei sottolineare che nel contesto internazionale gli italiani rappresentano una eccellenza in tutto ciò che riguarda la ricerca in campo medico: l’health care, l’health tech, le nanotecnologie e le tecnologie applicabili alla sanità. In questi campi siamo avanzatissimi anche grazie ai cosiddetti spin off universitari che rappresentano le best practice di come si fa sanità e ricerca.”
Lucrezia Argentino è Innovation & Communication Expert di Opinno Italy e Coordinatrice del programma RBS4Entrepreneurship della Rome Business School. Si occupa di gestire programmi di Open Innovation ed è project manager su progetti di consulenza per la digital transformation.