Ogni azienda, al fine di raggiungere i propri scopi e affinché questi possano essere letti e coordinati in una strategia unitaria, deve confrontarsi con il mondo esterno e diventare anche un soggetto di comunicazione.
Per un’impresa la comunicazione rappresenta un driver fondamentale, soprattutto nell’attuale era della knowledge economy, l’economia della conoscenza.
L’obiettivo prioritario è quello di costruire mediaticamente una immagine positiva, strettamente aderente all’identità, alla vision e alla mission, cioè alla rappresentazione che l’azienda ha o vuole avere di se stessa.
La Corporate Image, punto di partenza e di arrivo di ogni processo comunicativo, è l’immagine dell’azienda percepita dal mercato e deve perciò orientare ogni intervento di comunicazione.
La Comunicazione da one-to-many a many-to-many
Con la nascita e la diffusione dei social media la comunicazione ha subito una trasformazione da unidirezionale a bidirezionale.
Inizialmente, infatti, le aziende comunicavano attraverso il modello one-to-many, tipico approccio utilizzato dai mass-media tradizionali come televisione, radio, stampa, per poi diventare many-to-many, ovvero un’interazione tra più soggetti che trova la sua massima espressione nella comunicazione online.
Abbiamo voluto confrontarci con il professore Alessio Postiglione, Direttore del Pofessional Master in Corporate Communication Management,della Rome Business School che ha affermato:
“Oggi la comunicazione riveste un ruolo sempre più importante ed in particolare il brand journalism – il giornalismo d’impresa – perché divulga un’informazione settoriale, costruendo contenuti che evidenziano il valore dell’azienda attraverso lo storytelling, o se vogliamo utilizzare termini della nostra cultura di matrice classica attraverso la mitopoiesi.
Bisogna partire dal presupposto che la comunicazione è un’attività in grado di plasmare la società e che i social mediahanno radicalmente modificato il modo di comunicare creando un nuovo codice che si differenzia da quelli tradizionali. Ecco perché il sociologo Manuel Castells attualizza l’assunto di Mashal Mc Luan “il mezzo è il messaggio” in “la rete è il messaggio”.
La diffusione del concetto di corporate reputation è in parte dovuta alla pubblicazione nel 1982, sulla rivista Fortune, del primo ranking relativo alle “America’s most admired companies”.
È considerata un asset intangibile e rappresenta un punto cardine per qualunque organizzazione, pubblica o privata che sia, perché esprime ilquadro valoriale che l’organizzazione ha saputo costruire e trasmettere nel tempo e dal quale dipende il suo futuro ed il suo successo.
La reputazione aziendale, infatti, si gioca sulla capacità di un’azienda di soddisfare interessi e aspettative dei pubblici di riferimento, attenti all’attendibilità, all’onestà e negli ultimi tempi anche all’approccio etico dei modelli di business.
La Comunicazione di Crisi
Una crisi è un evento grave per ogni organizzazione, caratterizzato da elementi di eccezionalità, che può avere rilevanza mediatica e causare danni anche irreparabili non solo in termini economici-finanziari ma anche di reputazione.
Sotto questo punto di vista è necessario distinguere l’issue, un evento traumatico e potenzialmente dannoso, dalla vera e propria crisi, che ha uno svolgimento dinamico che si sviluppa in una successione di fasi di gravità crescente che può per questo sfuggire a interpretazioni con modelli rigidi e precostituiti.
Qui entra in gioco la crisis communication che ha lo scopo di contenere gli effetti negativi dell’evento e di preservare la reputazione aziendale.
“Attualmente sono mutati i paradigmi del crisis management. Oggi, infatti, ogni processo comunicativo è un’attività di peacekeeping, cioè volta a prevenire e contenere il rischio della crisi. Questo dipende da due diversi fattori: la velocità in cui si trasmettono le informazioni e l’iper targettizzazione dei pubblici di riferimento, non alieno al fenomeno del gruppismo, causata dai social network. Inoltre il web esalta il pluralismo – ognuno di noi può diventare il megafono di se stesso – ed impone al contempo che la comunicazione non sia più basata su un profilo di consumatore mediano, elemento che aumenta esponenzialmente le probabilità di incorrere di un epic fail. Del resto, Zygmunt Bauman con la teorizzazione della società liquida ci ha trasmesso la convinzione che il cambiamento è l’unica cosa permanente e che l’incertezza è l’unica certezza”.
Il marchio italiano Dolce&Gabbana, ha vissuto una social media crisis in occasione di un importante evento a Shangai che avrebbe dovuto sancire la presenza definitiva del brand sul mercato cinese. La campagna di comunicazione prevedeva il lancio di clip promozionali con una ragazza cinese che veniva presa in giro da una voce fuori campo per l’incapacità di mangiare pietanza italiane con le bacchette. L’intento, bonariamente ironico, ha rivelato un profondo errore concettuale per l’approccio alla cultura cinese attraverso standard e stereotipi occidentali.
La casa automobilistica tedesca BMW per pubblicizzare l’uscita di un nuovo modello ha pubblicato un post su facebooknel quale era ritratta la foto di un’automobile parcheggiata in violazione della segnaletica stradale accompagnata dalla frase: “Le regole non fanno per noi”. Il post creato con l’intento di essere accattivante ed anticonformista si è rivelato al contrario un boomerang.
“Gli epic fail di Dolce&Gabbana e BMW sono esemplificativi di come non basti rivolgersi all’agenzia di comunicazione più prestigiosa presente sul mercato. I master message devono essere sempre in linea con il pubblico di riferimento.La comunicazione come ci ricorda Clifford Geertz, è un sapere ideografico, bisogna quindi conoscere e capire la cultura di riferimento e interpretare la chiave di lettura del contemporaneo. Inoltre, non si deve mai prescindere dall’eticità dei messaggi da veicolare”.
L’ultimo ventennio ha visto un cambiamento del rapporto tra brand e consumatore. Nella società dell’informazione le aziende hanno raggiunto la consapevolezza che le loro azioni comunicative devono essere focalizzate sul cliente e non più unicamente sul prodotto, modificando così i tradizionali paradigmi.
Il marketing si è di conseguenza evoluto e partendo dal sentiment, pone l’accento non sulla dimensione razionale utilitaristica dei soggetti ma sulla dimensione emotiva ed emozionale delle persone. Si è lontani, infatti, dal marketing liberale basato sull’idea che il consumatore compia delle scelte facendo delle analisi costi benefici o ordinando l’albero delle preferenze basato sul principio dell’utilità marginale decrescente.
“L’importanza dell’elemento emozionale è esaltata dai social media che funzionano come delle comunità, dove quindi l’elemento sociologico, secondo le dinamiche comportamentistiche stimolo-risposta, prevale rispetto al paradigma dell’uomo economico. Più semplicemente potremmo dire che si è assistito ad una trasformazione della comunicazione da una dimensione cognitiva razionale ad un approccio eminentemente emozionale. Il più importante manifesto di marketing web 2.0 degli anni 2000 affermava, infatti, che i mercati sono conversazioni e i social sono appunto considerati conversazioni perché caratterizzati dall’elemento socialità. Da questo punto di vista i messaggi devono tenere in considerazione il target: Facebook si rivolge ad un pubblico over 35, Tik Tok raggiunge i giovanissimi, Instragram è un social trasversale e Linkedin è il canale più indicato per il business to business.”
Consigli per le aziende: quando, come e chi comunica
“Nella società dell’informazione per le aziende non esiste più un solo e preciso momento per comunicare. I social, il cui pubblico come detto non è schedulabile, obbligano ad una comunicazione in real time. Relativamente al come è importante tenere presente la propria condizione ed i mezzi che si hanno a disposizione: perché è inutile possedere 50 profili social se non si è in grado di assicurarne una corretta gestione ed una pronta risposta ai post pubblicati. Inoltre, è bene ricordare che la dinamica conversazionale del web impone che il 90% dei messaggi debbano essere sulla responsabilità sociale, per creare e rendere solida la reputazione aziendale che, come detto, è il bene intangibile e il vero moltiplicatore dell’attività economica.
Ma elemento prioritario e non prescindibile è la conoscenza che l’azienda deve avere di sé, della propria identità per individuare il giusto interlocutore in coerenza con la propria vision e la propria mission, altrimenti l’epic fail rischia di essere dietro l’angolo.”
ALESSIO POSTIGLIONE
Giornalista professionista, ex portavoce/ufficio stampa per istituzioni nazionali e internazionali, come Presidenza del Consiglio e Parlamento europeo, è direttore del Master in Corporate Communications della Rome Business School. Ex Research assistant dello European University Institute, insegna in varie università Ha scritto per la Repubblica, L’Espresso, The Huffington Post; è Cavaliere dell’Ordine del Merito della Repubblica Italiana. Suo ultimo libro è “Calcio e geopolitica. Come e perché i paesi e le potenze usano il calcio per i loro interessi geopolitici” (Edizioni Mondo Nuovo, 2021).