Lo sport anche grazie alla sua eccezionale diffusione a livello mondiale, avvenuta tra il XIX e il XX, si presenta sempre più come un’attività fondamentale nella vita individuale e sociale di milioni di persone.
Infatti, numerosi studi filosofici e psico-pedagogici hanno dimostrato come il corpo e il suo movimento sono alla base dello sviluppo umano da un punto di vista intellettivo, cognitivo e della personalità.
Una dinamica culturale che pone, in misura sempre crescente, l’accento e l’attenzione dello sport sia nella sua dimensione ludico-ricreativa-formativa, sia nella sua declinazione agonistica. Sotto questo punto di vista le attività motorie e sportive possiedono la grande capacità di trasmette un quadro valoriale basato sulla cooperazione, la solidarietà, la socializzazione e l’autocontrollo.
L’emergenza sanitaria legata alla diffusione pandemica da Covid-19 ha imposto stringenti limitazioni indispensabili per salvaguardare la salute collettiva, che hanno coinvolto naturalmente anche il mondo dello sport, culminate, durante il lock down generalizzato, nella sospensione di ogni forma di attività, sia dilettantistica che agonistica nazionale ed internazionale. Un evento straordinario che ha un solo precedente storico: gli anni della Seconda Guerra Mondiale.
Nel nostro Paese l’attività sportiva intesa anche come leisure time ha assunto una sempre più crescente dimensione economica, trasformandosi da un iniziale fenomeno di massa ad un vero e proprio fenomeno di mercato.
In Italia, secondo l’ISTAT, sono 20 milioni le persone che praticano attività sportive in maniera dilettantistica, ai quali vanno aggiunti almeno 12 milioni di tesserati, fra Enti di Promozione e Coni.
Per analizzare ed approfondire la tematica abbiamo interpellato Fabio Casu, Docente del Master in Sport and Lifestyle Management presso la Business School di Roma che ci ha detto:
“Il mondo sportivo negli ultimi due anni ha vissuto un momento molto delicato e difficile. Naturalmente dobbiamo fare una distinzione tra sport professionali e amatoriali ed ancora tra quelli individuali o di squadra. Gli sport professionistici non hanno registrato problemi specifici, naturalmente prima e dopo le chiusure totali, perché hanno potuto adottare nelle loro sedi i protocolli di sicurezza sanitaria previsti per il contenimento della pandemia. Per il mondo dello sport dilettantistisco la situazione è stata da subito più complessa, dovuta soprattutto alla mancanza di risorse economiche. Molte attività hanno registrato uno stop e la maggior parte degli atleti sono dovuti rimanere a casa”.
Secondo l’indagine “L’impatto del Covid sull’attività sportiva dei giovani”condotta dall’IPSOS, il leader mondiale nelle ricerche di mercato, in collaborazione dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive dello Spallanzani, il Policlinico Gemelli e l’Ospedale Pediatrico del Bambino Gesù, la popolazione sportiva italiana è stata costretta a cambiare drasticamente il proprio stile di vita anche rispetto allo sport, cambiamenti che incideranno anche nel prossimo futuro.
Infatti, prima della pandemia la maggior parte degli sportivi si recava regolarmente nella propria palestra o nel proprio centro sportivo più volte la settimana. La situazione emergenziale ha aperto le porte ad un modo “ibrido” di intendere lo sport. Le attività in sede, nel periodo del lockdown, sono state sostituite da corsi online e outdoor e allenamenti in livestreaming con sedute registrate on demand, che hanno permesso di seguire lezioni anche al di fuori della propria area territoriale, o aprirsi ad altre discipline mai praticate prima.
“Potrebbe sembrare paradossale ma mi sento di affermare che in un certo qual modo per l’attività sportiva si è avuto, durante la pandemia, un effetto positivo, un vero e proprio rebound. L’essere costretti in casa ha ispirato nuovi approcci: le persone volevano uscire, così anche coloro che non erano usi praticare attività hanno iniziato a correre, per esempio, o ad andare al parco, quindi come detto, in una certa prospettiva, abbiamo avuto un cambiamento nelle abitudini, con ripercussioni positive anche nella sfera economica. Ad esempio, se ci sono più persone che corrono o che camminano ci saranno più clienti per l’industria delle tomaie sportive.
Per quanto riguarda gli appassionati che seguivano lo sport in tv non abbiamo assistito a nessun cambiamento, perché anche durante il periodo pandemico peggiore lo sport continuava ad essere trasmesso in TV”.
Allo sport ci si avvicina a qualsiasi età e con motivazioni diverse. La comprensione dei processi motivazionali per l’avviamento ad una disciplina sportiva è senza dubbio uno dei temi che suscita molto interesse tra gli psicologi dello sport ed i responsabili del marketing.
Certamente da questo punto di vista gioca un ruolo essenziale la capacità di immedesimazione e l’empatia che gli atleti professionisti sono in grado di produrre negli spettatori, perché le emozioni sono un elemento imprescindibile che fanno leva sul senso di appartenenza e in questo modo ripropongono il fenomeno delle tribù. Le esperienze delle vittorie di uno sportivo, infatti, producono un effetto “contagio” perché riconducono ad una condizione di emulazione e come diretta conseguenza producono un aumento di praticanti e tesserati proprio di quella disciplina.
“Naturalmente in Italia lo sport più seguito e soprattutto più famoso è il calcio, che fa parte della nostra cultura e della nostra storia. Ma nell’ultimo anno si è praticata moltissimo, ad esempio, la corsa per le ragioni note. Inoltre, abbiamo assistito ad un aumento di pubblico in tutte quelle discipline che sono state protagoniste nelle recenti olimpiadi e che hanno portato gli atleti italiani sul podio più alto. Penso all’atletica, alla pallavolo. Ma ritenere che sia unicamente una medaglia ad avvicinare a quella data disciplina è un errore dettato da un approccio superficiale: al contrario sono molto importanti le strategie messe in campo dalle federazioni. Le azioni adottate per la promozione di uno sport sono fondamentali per attrarre nuovi sportivi. Un esempio virtuoso è certamente rappresentato dalla Federazione del Golf.”
Negli ultimi venti anni il giro d’affari dello sport è cresciuto in maniera esponenziale assumendo sempre più valenze di business. Nel 2018 lo “sport industry” italiano, infatti, aveva superato gli 8 miliardi di euro e nonostante gli ultimi 24 mesi si possono considerare anni da dimenticare, lo sport è un settore ancora su cui si continuare a puntare.
Lo sport rappresenta un canale di comunicazione molto potente, capace di raggiungere un pubblico realmente vasto: quello diretto, che assiste in prima persona all’evento, e quello indiretto, costituito dagli utenti che seguono l’avvenimento tramite televisione, stampa, radio e social network. La nascita del management applicato allo sport è la diretta dimostrazione della rilevanza di un settore che rappresenta una notevole fonte di indotto economico, di crescita e di occupazione tale da imporre una mentalità e una gestione manageriale.
Il management dello sport, infatti, comprende al suo interno una serie di attività molto diverse tra di loro che richiedono una professionalità specifica con una particolare attenzione agli aspetti organizzativi, giuridici e amministrativi. Il manager di questo comparto pianifica, organizza, gestisce e verifica l’attuazione di piani e progetti anche in aree non sportive in quanto dispone di competenze di carattere gestionale.
“Penso che dal punto di vista manageriale, abbiamo due fattori principali che devono indirizzare l’agire del comparto: uno è la consapevolezza che lo sport rappresenta una vera industria economica, l’altro è l’aspetto legato alla sua sostenibilità.
Il primo aspetto impone che l’approccio sia professionale, manageriale, dove le competenze devono essere specifiche per l’attuazione di modelli di business vincenti.
Inoltre, non si può più prescindere dall’aspetto della sostenibilità. Dobbiamo considerare l’organizzazione di ogni evento sotto l’aspetto della sostenibilità ambientale ma anche economica e sociale. Prospettiva manageriale e prospettiva di sostenibilità sono il connubio vincente di una stessa realtà. Se si lavora in questo ambito si deve essere in grado di capire tutte le diverse sfaccettature del settore e avere il know-how per superare le criticità.”
La diffusione sempre più capillare della tecnologia nello sport porterà nel prossimo futuro a molti cambiamenti. Infatti, attualmente, non esiste una società sportiva che non utilizzi strumenti digitali per coinvolgere il pubblico attraverso il web site, i social media e naturalmente l’e-commerce.
“In Italia assisteremo nei prossimi anni ad una sorta di “ricambio generazionale” nei ruoli apicali dello sport, sia a livello privato che istituzioni, e i prossimi manager dovranno essere capaci di prendere il testimone portando nuove idee e soprattutto nuove competenze. Per un nuovo inizio attendiamo anche i fondi e i progetti che scaturiranno dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, per favorire benessere ed integrazione sociale. Sarà molto importante naturalmente monitorare che la realizzazione dei progetti sia coerente con gli obietti e l’ispirazione degli stessi”.
Consulente aziendale e docente per università e imprese. Da oltre 15 anni opera nel mondo dello sport a livello istituzionale e privato. Attualmente è Managing Partner di Moduslab, startup innovativa che definisce modelli di sviluppo per la sostenibilità delle organizzazioni, ed è Presidente di AICSO (Associazione Italiana Chief Sustainability Officer).