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Il cibo e media: come è cambiato il modo di raccontare il mondo del food

Secondo le teorie dell’antropologo francese Claude Levi Strauss il passaggio del cibo da elemento centrale della lotta per la sopravvivenza ad elemento culturale è avvenuto con la cottura degli alimenti attraverso il fuoco: l’invenzione che ha reso “umani gli umani”.

Sotto questo punto di vista l’approccio etno-antropologico è quello forse che più profondamente può raccontare il rapporto cibo-cultura, che è da intendersi come una transizione simbolica tra natura, il crudo, e cultura, il cotto, ma anche tra natura e società.

Infatti, è da questo momento in poi che il cibo diventa punto di partenza per straordinari sviluppi di stampo sociale, culturale, etnico, religioso ed economico.

Il cibo come momento di socialità

La tavola, nella società contemporanea, costituisce un luogo di incontro tra differenti canali sensoriali, trascendendo il paradigma del bisogno per arrivare quello del piacere, dell’affettività, dell’incontro e della socialità e del business.

Oggi il cibo è diventato una tendenza, una moda: non basta gustarlo, ma va raccontato al 76% degli italiani che, sui media, cerca programmi di food come indicato dall’Auditel (periodo Q1 2018).

Per saperne di più abbiamo incontrato Salvatore Cosenza docente dell’ International Master in Food and Beverage Management della Rome Business School che ci ha detto:

Provengo da una lunga esperienza di autore televisivo. Quando lavoravo in questo settore si parlava di cibo ma non in una modalità, mi si lasci dire, ossessiva come accade oggi. A ogni ora del giorno ci sono programmi di cucina: sulla tv generalista, sui canali tematici per appassionati e persino sulle piattaforme di streaming. Nonostante la sovrabbondanza di media e contenuti, l’interesse per l’argomento non accenna a declinare.

Ci sono format interessanti, in cui il cibo, inteso come piacere ed esperienza, è la tematica centrale. Al di là dell’intrattenimento però mi piacerebbe ci fosse maggiore attenzione verso gli aspetti nutrizionali, senza scadere nel salutismo. Sarebbe poi giusto porre l’accento sulle tematiche della sostenibilità, ambientale e sociale, per aiutare il pubblico a percepire il giusto valore del cibo. Ad esempio, far capire che se un alimento viene pagato poco, a farne le spese saranno l’ambiente o i lavoratori del comparto agroalimentare che non vengono giustamente retribuiti. Deve esistere un approccio, mi consenta il termine, etico, anche in questo campo”.

Social Network e Website

Con l’avvento del social network il concetto di “vetrinizzazione” teorizzato dal sociologo Vanni Codeluppi, nei suoi saggi dedicati al mondo dei fenomeni comunicativi e del consumo, descrive in maniera mirabile la progressiva spettacolarizzazione della vita quotidiana, nella quale un posto di primo piano è proprio dedicato al cibo.

I media digitali hanno trasformato la comunicazione dell’universo food, nella sua accezione più universale.

Se a partire dagli anni 70 a trattare questo argomento erano soltanto giornalisti specializzati in enogastronomia con pubblicazioni come le Guide Michelin e Touring Club – ricordiamo, inoltre, che il Gambero Rosso Channel, primo canale a tema in Italia è stato fondato solo nel 1999 e che il primo programma Rai è del 2000 – oggi l’attenzione è calamitata dai foodblogger, dagli influencer, dai trend setter che attraverso il web condividono esperienze, ricette, idee, fotografie e soprattutto opinioni.

Per quanto riguarda il cibo in ambito social, inevitabilmente è la vista il senso che viene stimolato maggiormente. Quando una pietanza ci viene offerta inconsciamente la analizziamo visivamente. Il Food Design rappresenta dunque un potente strumento in grado di influenzarci. Poi ci sono gli eccessi, come la ricerca ossessiva della cosiddetta “Instagramabilità” o il famigerato “food porn”. È necessario a mio avviso raggiungere un equilibrio tra la “vetrinizzazione” e la sostanza. Un panino o un piatto possono essere bellissimi e invitanti in foto, ma se all’assaggio si riveleranno deludenti, il pubblico non avrà remore a farlo notare sulle stesse piattaforme social o sui siti di recensioni. Rispetto alla forma, il gusto resta ancora l’aspetto fondamentale dell’esperienza di un cliente, per fortuna.

Più in generale, per sfruttare al meglio i social media, bisogna considerare le peculiarità di linguaggio del mezzo che si sceglie per comunicare, al fine di pianificare una corretta strategia. In altre parole, inutile veicolare contenuti perfetti nella forma se si sbagliano il medium e il target. Ad esempio: un video di diversi minuti è adatto a YouTube, al limite a Facebook. Non certo su Instagram, dove invece sono da preferire le foto, le stories e più di recente i reel. Questi ultimi in realtà nascono su Tik Tok, piattaforma diversa, dall’approccio quasi frenetico, non a caso è la più utilizzata dalla generazione Z”.

Storytelling e Content Management

Lo storytelling delinea la nuova dimensione del Marketing e in questa ottica il content marketing è la creazione di contenuti di valore e di qualità che permettono alle aziende di mantenere un vantaggio competitivo nel mercato di riferimento e i social, in questo, devono essere vissuti come un volano per i ristoratori.

Anche per il mondo del food, il content marketing è uno strumento utile. Per questo, conoscere e affidarsi alle tecniche di storytelling è una valida opzione. Durante le lezioni mi piace usare la metafora dell’orologio: la storia è l’ora segnata dalle lancette, le tecniche di storytelling sono il meccanismo dell’orologio stesso. Conoscere il funzionamento delle storie, ci consente di costruirle e raccontarle in maniera più efficace. Anche nel “Food & Baverage” è necessario avvalersi di professionisti della comunicazione. Purtroppo, molto spesso si pensa che avere un account social o buona dimestichezza nello smanettare nel web siano elementi sufficienti soprattutto in un mondo, come quello del cibo che  di fatto è argomento quotidiano”.

Skills e Competenze

Se si desidera lavorare nel settore della comunicazione del food il nemico principale, ripeto, è l’improvvisazione. È necessario a mio avviso possedere un giusto mix di conoscenze: non basta essere esperti di marketing, occorre inevitabilmente avere delle competenze anche in ambito strettamente gastronomico, oltre che conoscere questo mondo e le sue dinamiche. Non bisogna poi tralasciare il fattore umano, ovvero la capacità di intrecciare relazioni da cui possono scaturire interessanti collaborazioni personali o azioni di comarketing.

Attualmente, purtroppo, nel settore della ristorazione la questione più urgente riguarda la penuria di personale di sala e di cucina. Questo porta a vedere la comunicazione come una questione a cui pensare in un secondo momento. Questione di priorità, certo, ma non bisogna cadere nell’errore di ricordarsi di comunicare solo quando si ha tanto budget a disposizione, o ancor peggio, quando il business va male.”

 

SALVATORE COSENZA

Nato a Potenza, vive e lavora a Roma dal 2004. È stato per anni autore televisivo di programmi basati su “user generated content”. Ha iniziato a scrivere di cibo e ristoranti nel 2011. Ha ricoperto il ruolo di Community City Manager per Yelp nella Capitale. Contributore per guide di ristoranti, scrive regolarmente per Agrodolce.it e collabora occasionalmente con altre testate gastronomiche. Raccoglie i suoi articoli sul sito personale LievitiDigitali.com. Docente di degustazione di birra artigianale, è uno degli organizzatori della Italy Beer Week. Consulente di marketing e comunicazione per realtà del settore del food&beverage.