Il tema della sicurezza alimentare riveste un ruolo di primaria importanza all’interno della vita di ognuno di noi, soprattutto dopo gli anni di pandemia da Covid-19 che ha riportato il tema della salute tra le priorità del consumatore.
Prima della sottoscrizione dei Trattati di Roma, non esisteva una politica europea in campo alimentare: l’attività di tutela della salute dei cittadini era affidata ai singoli stati membri – senza alcun coordinamento tra paesi – e volta a stabilire unicamente una normativa relativa agli aspetti tecnici delle produzioni alimentari.
E’ a partire dagli anni ’60, appunto con la nascita della Comunità Europa, che il tema di sicurezza alimentare diventa terreno comune di intervento con la Commissione, che inizia a considerare come priorità il raggiungimento di standard sempre più elevati per la salvaguardia della salute dei cittadini.
Da questo momento in poi il concetto di sicurezza alimentare si amplia prendendo in esame due diversi aspetti, la food safety e la food security: la prima è legata gli aspetti relativi alla sicurezza intesa come igiene e salubrità di un alimento, la seconda indica gli aspetti economico-sociali legati alla disponibilità degli approvvigionamenti alimentari. Il Libro Bianco della Commissione sulla sicurezza alimentare del 2000 e il Regolamento UE 178 del 2002 sono state le pietre miliari del Sistema di Sicurezza Alimentare che conosciamo oggi.
Ultimamente si parla anche di sicurezza informativa, dove assume particolare importanza il ruolo dell’etichetta che narra al consumatore le caratteriste del prodotto al quale ci si sta rivolgendo. Aspetto, questo, non proprio secondario dal momento che l’alimentazione ha assunto una importanza ancora più rilevante per il 58% degli Italiani, come si evince dallo studio del Deloitte Global State of the Consumer Tracker, l’osservatorio globale e periodico sui comportamenti d’acquisto.
Per comprendere quanto i due concetti siano tra loro complementari e rappresentino le due differenti accezioni di sicurezza alimentare abbiamo incontrato Luigi Tozzi, docente dell’ International Master in Agribusiness Management Online della Rome Business School che ci ha detto:
“Per quanto riguarda la food safety, possiamo senza dubbio affermare in Europa si riescono a gestire sia i piccoli che i grandi problemi. Il sistema funziona bene ed è stato preso da modello anche da altri paesi, come ad esempio l’Australia, alcune nazioni degli Stati Uniti d’America e l’India. E’ un sistema che vede in primo luogo la responsabilità primaria dei produttori ed un controllo coordinato da parte degli Stati membri e dell’Europa. Inoltre, da circa un anno e mezzo è stato istituito il TRACES, un sistema di scambio di informazioni per i prodotti che entrano in Europa, che prevede un tracciamento molto preciso dal carico delle navi, al luogo di immagazzinamento fino allo smistamento nei diversi paesi.
Naturalmente possono essere apportati dei miglioramenti soprattutto sotto il punto di vista della notifica in tempo reale dei rischi – diretti o indiretti – connessi ad un determinato prodotto, come è avvenuto recentemente con la Kinder, costretta a ritirare dal mercato alcuni snack per bambini a causa di una contaminazione da salmonella. Anche il numero di controlli delle Autorità pubbliche dovrebbero aumentare, visto l’aumento della circolazione e della quantità di alimenti e materie prime. I regolamenti ci sono, ma naturalmente le interpretazioni variano da paese e paese. In Italia abbiamo un approccio più stringente nell’interpretazione delle norme: esistono unità di crisi all’interno del Ministero della salute che vengono attivate immediatamente in caso di grossi pericoli. Inoltre, c’è un lavoro in autocontrollo dei produttori, che hanno la responsabilità di verificare l’entità del rischio.
Il problema semmai è rappresentato dalle triangolazioni: c’è il grano del paese X – che non è perfetto – che entra nel porto Y – che fa un controllo non approfondito – che arriva nel paese Z e viene distribuito in tutta Europa.”
Se la food safety affronta il tema della sicurezza alimentare sotto l’aspetto qualitativo, la food security lo affronta sottol’aspetto quantitativo: ovvero il diritto di tutti gli abitanti del pianeta ad avere accesso a quantità di cibo sufficiente per condurre una vita dignitosa.
“Lo sconsiderato aumento del prezzo grano, non è causato dal conflitto ucraino, come erroneamente ritenuto dai più, ma è la diretta conseguenza dei cambiamenti climatici e della finanza. Dei cambiamenti climatici che hanno causato la siccità che ha colpito il Canada che è il più grande produttore di grano duro del mondo; della finanza per l’utilizzo dei contratti future per contrastare la fluttuazione dei prezzi dei prodotti agricoli.
Infatti, la stragrande maggioranza dei prezzi delle commodity vengono stabili proprio con i future. Sarà necessario intervenire con delle regole che possano tutelare i consumatori. Non sono un economista per poter indicare dei percorsi che possano aiutare a risolvere il problema. Mi sento però in obbligo di ribadire che è necessario intervenire al più presto perché non è eticamente accettabile che si permetta la speculazione su beni essenziali come l’energia, l’acqua, il cibo. Oggi i cittadini si trovano a dover scegliere tra il pagare le bollette e mettere a tavola un pasto sufficiente per il proprio sostentamento.
L’ultimo Report della Caritas ha mostrato che in Italia nel 2021 quasi 1 cittadino su 10, il 9,4% della popolazione, ha vissuto in povertà assoluta, senza considerare le quote di povertà “inedite” e quella dei “nuovi poveri” causate anche dalla crisi sanitaria da covid 19 alla quale si è ora aggiunta quella della guerra in ucraina. Il caro bollette rende ancora più critica la situazione già preoccupante di per sé.”
La lotta ai cambiamenti climatici, – principalmente derivanti dall’attività dell’uomo che nello sviluppo industriale dell’ultimo secolo non ha saputo accompagnare con politiche mirate lo sfruttamento delle risorse naturali del pianeta – è diventata, nel corso delle ultime decadi, la questione più rilevante del nostro tempo.
Causano danni incalcolabili all’ambiente perché modificano la resa dei terreni, provocando ad esempio, alluvioni, siccità, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari.
“In Italia, come del resto in tutti i paesi, il cambiamento climatico non solo si percepisce, ma si vede. E’ diminuita la quantità delle precipitazioni e sono aumentati i rischi idrogeologici. Assistiamo alla salinizzazione delle foci dei fiumi, dove il sale del mare, che risale i corsi d’acqua, secca i terreni.
Inoltre, i cambiamenti climatici comportano l’arrivo all’urbanizzazione di mercato di nuove specie aliene che attaccano i nostri prodotti agricoli. E’ accaduto con l’arrivo della vespa cinese che, insediatosi in Piemonte e giunta nella Comunità Montana Serinese-Solofrana, ha distrutto le culture dei castagneti. E’ accaduto anche con la cimice asiatica che è risultata essere pericolosissima perché molto prolifica e interessata indifferentemente a tutti gli alberi da frutta e che ha provocato danni, come ha sottolineato Coldiretti, fino al 40% dei raccolti nei terreni colpiti.
Ci sono voluti anni per trovare una soluzione che riportasse l’equilibrio: introdurre altre specie aliene antagoniste. Ma questi sono processi biologi complessi e impiegano anni per riassestare l’ecosistema.
C’è poi il tema della fauna. Si pensa sempre agli ungulati, ma ad esempio non ai fenicotteri che con le zampette distruggono ettari di riso, ai cerbiatti che divorano i frutti alla loro altezza o ai corvi con il loro guano. Da questo punto di vista parliamo di abbandono del territorio – lasciato appunto alla fauna – effetto secondario dovuto ai cambiamenti climatici che danneggiano gli agricoltori, provocando loro delle gravi perdite economiche e quindi il conseguente allontanamento dal settore agricolo.”
Sicurezza alimentare significa anche sostenibilità ambientale. Lo spreco alimentare è un tema molto sentito: nel 2011 l’Organizzazione delle nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura aveva infatti calcolato che lo spreco di cibo rappresentava circa un terzo del totale degli alimenti prodotti a livello mondiale. Una decade dopo la situazione resta preoccupante: secondo il Food Waste Index Report 2021, nel 2019 sono state sprecate 931 milioni di tonnellate di cibo, equivalenti al 17% circa di tutto quello disponibile per la popolazione mondiale. Ecco perché la lotta alla fame rimane tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, una policy volta a “riconciliare economia, ambiente e società”.
L’Italia è tra i più virtuosi nel panorama dei paesi industrializzati anche se nel post pandemia si è fatta meno attenzione alla gestione della dispensa, con un aumento dello spreco del 15%.
“Dobbiamo comprendere che il cibo può essere ri-utilizzato. Sembra una cosa ovvia perché fa parte del nostro vissuto quotidiano, dei consigli delle nostre nonne che inventavano pietanze con il pane o la carne avanzata in tavola. Ora lo chiamiamo politiche contro lo spreco alimentare o economia circolare, in passato si chiamava semplicemente economia domestica. Il cibo aveva il suo valore e come tale veniva rispettato.
Nella civiltà del consumo abbiamo purtroppo assimilato la cultura dello scarto: compriamo la magliettina di 10€ e la buttiamo via perché non è stata tessuta per durare e questo naturalmente rappresenta un problema.
Per quanto riguarda il cibo dobbiamo distinguere il waste dal loss. Il food waste è tutto ciò che finisce in discarica ed è perduto per sempre. Il loss è qualcosa che si perde durante il processo, ad esempio le mele: non tutte vanno a finire sul bancale per essere vendute, come quelle più piccole che nessuno acquisterebbe. Non vengono dunque distribuite lunga la supply chain perché il loro smaltimento come non venduto rappresenterebbe un costo enorme.
Un altro concetto che mi preme esprimere è che il food loss dovrebbe essere riutilizzato nello stesso posto dove è prodotto. Anche stavolta possiamo imparare dai nostri avi. Loro avevano visto che un albero usa le stesse sostanze naturali presenti nella terra, che lui stesso provvede a rinnovare fornendo il suo “loss”, ovvero le foglie, i frutti, l’acqua e l’energia del sole che ha immagazzinato nei legami chimici. In questo modo il suolo dove si trovava non si impoveriva. Se il nostro spreco alimentare lo riutilizzassimo in altre parti da dove l’abbiamo prodotto rischieremmo di impoverire lo stesso suolo che abbiamo sfruttato. Non è sempre possibile che questo avvenga, ovviamente, ma se il “riutilizzo” dello spreco diventa un business, ovvero uno dei tanti sottoprodotti che rivendo, questo è il rischio che corriamo.
In Italia esiste la legge Gadda del 2016, scritta per ridurre gli sprechi lungo tutta la filiera agro-alimentare e che favorisce il recupero e la donazione dei prodotti in eccedenza. Il provvedimento riguarda anche ad altri prodotti come ad esempio ai farmaci ed è ora preso a modello anche in Europa.Bisogna innescare il circolo virtuoso del riciclo. E’ il nostro atteggiamento che deve essere più volto alla sostenibilità, al ri-utilizzo delle materie alimentati e non. Bisogna porre in essere una rivoluzione culturale che veda in prima linea le nuove generazioni che rappresentano il futuro e le vere leve del cambiamento perché capaci di influenzare con forza i contesti in cui vivono.”
Biologo laureato all’Università di Perugia nel 1990, ha più di 30 anni di esperienza nel campo dell’assicurazione della qualità e della sicurezza nel settore agroalimentare, maturata sia in aziende di ricerca (Università della Tuscia e azienda agroalimentare EnichemAgricoltura) sia in attività di lobbying a livello nazionale ed europeo. Per quanto riguarda le competenze in materia di sicurezza alimentare, ha partecipato come esperto ai gruppi di lavoro per la sicurezza alimentare e la gestione del rischio per il Ministero della Salute e per il Ministero dell’Agricoltura in occasione di crisi alimentari (ad esempio, fipronil, residui di oli minerali nei mangimi biologici, peste suina africana, ecc.) È stato membro del Comitato nazionale per la lotta agli sprechi e alle eccedenze alimentari del Ministero dell’Agricoltura italiano e del Comitato nazionale. Nel campo della qualità e della sicurezza alimentare, è esperto di agricoltura biologica e di produzioni di qualità certificata e presta la sua professionalità come esperto tecnico nel Comitato Settoriale per l’Accreditamento Agroalimentare dell’ente nazionale di accreditamento ACCREDIA. Attualmente è Deputy Manager di SAFE Food Advocacy Europe, la ONG dei consumatori europei specializzata nel Food.
E’ docente del Master in Agribusiness Management della Rome Business School, dove è responsabile di due corsi: Innovazione agrofarmaceutica e nuove tecniche per la sostenibilità; Multifunzionalità in agricoltura, e un corso sull’innovazione digitale sostenibile nel settore agroalimentare presso l’Università LUISS di Roma.