Roma, 2 agosto 2022. Rome Business School, ha pubblicato lo studio “Agribusiness e cambiamento climatico in Italia. L’impatto sulla filiera tra imprenditoria giovanile, tecnologia e sostenibilità” a cura di Diana Lenzi, Docente dello Specialized Master in Food and Beverage Management; Roberto Reali e Claudia Laricchia, Docenti del Master Online in Agribusiness Management, e Valerio Mancini, Direttore del Centro di Ricerca della Rome Business School. Lo studio fa luce sulle sfide, obiettivi e soluzioni affrontate dal settore agro-alimentare italiano, analizzando in particolare il ruolo dei giovani nella ripresa del settore, l’impatto del cambiamento climatico su tutta la filiera e le tecnologie necessarie all’adattamento e alla mitigazione delle conseguenze del clima.
Se fino agli Novanta la priorità del settore agricolo europeo è stata quella di intensificare la produzione, dal 2022 al centro viene posta invece la transizione verso la produzione sostenibile. Oggi, con lo stop alle forniture di grano dall’Ucraina, l’inflazione e l’aumento dei gas serra, bisogna affidarsi alle nuove tecnologie, al digitale e all’innovazione per pianificare il modo più efficiente tutta la filiera, per poter sfamare la popolazione mondiale, che si avvia agli 8 miliardi di persone.
Nel 2020 sono nate in media ogni giorno in Italia 236 aziende condotte da under 35 per un complessivo di oltre 86 mila aziende. Il settore agricolo, infatti già nel 2020 si collocava nelle prime posizioni per nuove aziende under 35 in un anno (oltre 6 mila). Ad oggi, in Italia sono oltre 55 mila le aziende agricole e forestali guidate dai giovani e rappresentano l’8% del settore ed il 10% del totale delle imprese gestite da giovani. Le regioni che dove operano più giovani imprenditori agricoli sono: Valle d’Aosta (12%); Liguria, Sardegna e Calabria (11%); Basilicata e Campania (10%); Sicilia (9%). In coda alla classifica si trovano Marche, Friuli-Venezia Giulia e Abruzzo (6%), Veneto (5%) ed Emilia-Romagna (4%).
Le aziende agricole condotte da under 35 in Italia si collocano nella prima posizione per Produzione Standard generata per ettaro. I giovani italiani generano mediamente una produzione standard per ettaro di 4.964 euro, oltre il doppio rispetto ai giovani agricoltori francesi (2.129 euro/ha; -57%) e ancor più marcata la differenza con la Spagna (2.008 euro/ha; – 60%). Nel complesso, la produzione standard generata per ettaro coltivato dai giovani in Italia è poco meno del doppio della media europea (2.592 euro/ha; -48%).
Esiste una correlazione inversa tra la variabile ‘età’ ed i risultati economici conseguiti. I giovani tendono ad una resa maggiore per ettaro di terreno coltivato (4.964€/ettaro) rispetto agli over 55 (3.546€ /ettaro) con risultati migliori del 40%, secondo gli ultimi dati Eurostat. Inoltre, seppur il numero di aziende condotte dagli over 55 sia notevolmente superiore, si può notare bene come le loro aziende abbiano una dimensione media decisamente inferiore di quelle condotte dai giovani. I giovani imprenditori agricoli italiani riescono quindi a gestire aziende di dimensione più importante, valorizzandone le produzioni e generando quindi maggiore redditività per ettaro. Roberto Reali, uno degli autori della ricerca, afferma che “questo fenomeno potrebbe essere attribuito alla formazione che i giovani hanno nel campo dell’agricoltura e il management, dimostrandosi a sua volta aperti all’innovazione e all’incorporazione della tecnologia e nuovi processi per migliorare i risultati”.
Negli ultimi due anni l’agricoltura 4.0 ha continuato il suo percorso di crescita ed evoluzione: dai 540 milioni di euro di fatturato nel primo semestre del 2020 a 1,3 miliardi a fine 2020, fino ad arrivare a 1,6 miliardi nel 2021 (+23%). I numeri raccontano anche di una fortissima crescita rispetto al 2017, quando questo mercato faticava ad arrivare a quota 100 milioni di euro.
In parallelo, è cresciuta la superficie coltivata con strumenti 4.0 da parte delle aziende agricole, che nel 2021 ha toccato il 6% del totale, il doppio dell’anno precedente; il 60% degli agricoltori italiani nel 2021 utilizza almeno una soluzione di agricoltura 4.0, +4% rispetto al 2020; e oltre 4 su 10 ne utilizzano almeno due, in particolare software gestionali e sistemi di monitoraggio e controllo delle macchine. L’agricoltura 4.0 è caratterizzata dall’uso di nuove tecnologie, algoritmi, internet of things, agro bots e droni per ottimizzare il controllo, gestione e monitoraggio della terra.
Secondo l’Osservatorio Smart Agrifood del Politecnico di Milano e il Laboratorio RISE dell’Università degli Studi di Brescia, la Lombardia è in testa alla classifica per l’adozione di soluzioni agricole improntate all’innovazione (68%), seguita da Piemonte (62%) ed Emilia-Romagna (55%). Nonostante ciò, messuna regione italiana è in linea con gli obiettivi intermedi fissati a livello europeo per la neutralità climatica al 2030, ma ci sono 6 Regioni più virtuose che registrano migliori performance climatiche: Campania, Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria e Marche; in coda alla classifica, ancora molto lontane dal target europeo, Toscana, Umbria, Lombardia e Veneto (Dati Ispra, Italy for Climate, 2021).
Lo stesso studio evidenzia che metà delle Regioni italiane non ha ridotto le proprie emissioni di gas serra, 14 regioni su 20 hanno aumentato i propri consumi energetici e gran parte delle regioni italiane è molto distante dall’obiettivo al 2030 per l’utilizzo di fonti rinnovabili, ad eccezione di un gruppo ristretto composto da Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Basilicata, Calabria e Molise. Tra le città con maggiori consumi domestici si trovano al primo posto dei capoluoghi: del nord, Milano (136 milioni di metri cubi); al centro, Roma (196 milioni) e al sud, Napoli (51 milioni). In fondo alla classifica ci sono: al nord, Sondrio (1,3 milioni); al centro, Frosinone (1,6 milioni) e al sud, Enna (1 milione). Si confermano dunque ancora poco sostenibili praticamente tutte le Regioni dell’Italia, e si vede il forte impatto che l’agricoltura ha nel cambiamento climatico.
A livello mondiale sono proprio gli spazi disponibili per l’agricoltura quelli che soffrono di più. La siccità (46% dell’UE è in stato di allarme), il consumo del suolo e la cementificazione sono le sfide principali da affrontare. Quest’ultima provoca lo spostamento della popolazione nelle città e l’abbandono dei sistemi periferici, i quali rappresentano una delle principali chiavi ambientali per la realizzazione di un’agricoltura razionale. “Affidare questi elementi ad un progetto di smart cities che punti ad una pianificazione del processo significa ridare valore a tutta la filiera agroalimentare e a permettere comportamenti sostenibili e convenienti anche da parte dei produttori”, afferma Diana Lenzi, tra le autrici della ricerca.
Bisogna però anche tenere conto dell’impatto ambientale del settore agricolo, responsabile di una media tra il 20 e il 30% delle emissioni di gas serra, dell’impatto idrico e del consumo di suolo derivante dall’agricoltura, questo responsabile dell’80% della deforestazione del 70% del consumo di acqua sul pianeta, di cui solo per l’irrigazione il 50% viene da acque sotterranee e da fonti estremamente delicate per gli ecosistemi, che si stanno esaurendo, essendo la quantità utilizzata raddoppiata dagli anni ‘60 al 2000.
Per dare risposta a tutto ciò, secondo Valerio Mancini, bisogna “fare un cambio di mentalità e avvisare una purpose driven innovation, un’innovazione guidata dallo scopo, da una visione di prosperità che può e deve determinare la costruzione di nuovi modelli di sviluppo sostenibile e di ecologia integrale”.
Cambiare mentalità significa ridisegnare i modelli e i sistemi che oggi guidano la produzione e distribuzione dei prodotti agricoli. Un concetto chiave è quello della vita circolare: in Italia oggi si sprecano 1.866.000 tonnellate di cibo all’anno (Waste Watcher, 2022), “alimentando” così una perdita economica pari a 7 miliardi di euro. Questo, senza considerare le perdite alimentari che si annidano a monte della filiera e quindi maggiormente nella fase produttiva (60% del totale dello spreco).
Ci sono alcuni esempi virtuosi dell’uso della tecnologia per combattere lo spreco, come l’uso dell’intelligenza artificiale per modificare i prezzi dei prodotti sugli scaffali, che diminuiscono in automatico in funzione dell’avvicinarsi della scadenza degli stessi (Marketspy, Myfruit, Hopenly). Ma ci sono anche tante altre soluzioni innovative per agevolare i processi all’interno del settore agricolo.
Nel 2020 è stata lanciata un’applicazione per smartphone, su iniziativa dei Ministeri dell’Agricoltura, del Lavoro e dell’Interno, finalizzata a facilitare l’incontro tra i braccianti e le aziende, promuovendo la legalità e la sostenibilità del lavoro agricolo. Nello stesso anno, a Vallo della Lucania, è nata Rareche Cilento, la prima rete di aziende e agricoltori che praticano l’Agricoltura Organica e Rigenerativa, con l’obiettivo di diffondere i principi dell’agricoltura sostenibile, del carbon farming, della stagionalità e della salubrità dei prodotti, del ripristino dei servizi ecosistemici, della gestione sostenibile e della rigenerazione delle risorse naturali.
Salta all’occhio l’aumento dell’agricoltura in ambienti controllati, un metodo che prevede il controllo umano di alcuni parametri per ottenere un buon raccolto, usando la scienza e l’ingegneria. Globalmente il giro d’affari ha superato i 4 miliardi di dollari e ciò tenendo conto solo delle apparecchiature, del lavoro e dei consumabili (sementi, concimi, substrati). La pandemia non sembra aver intaccato quindi la crescita (+25% l’anno) del settore, che si basa sulla fiducia degli investitori: secondo i dati di PitchBook, nel 2020, sono stati investiti a livello mondiale nell’agricoltura fuori suolo ben 1,86 miliardi di dollari. La tendenza ha addirittura accelerato nel 2021 dove, nel periodo agosto 2020-agosto 2021, gli investimenti nel settore hanno totalizzato 2,71 miliardi.
Un dato ignorato fino a qualche mese fa oggi mette in bilico il sistema agricola mondiale: il 30% del commercio globale di frumento è rappresentato da Russia e Ucraina, così come il 32% del commercio dell’orzo, il 17% di quello del granoturco, oltre il 50% di quello dell’olio di semi di girasole e il 20% di quello dei semi di girasole.
A livello nazionale, nel 2021 l’Italia ha importato 142 mila tonnellate di grano tenero dall’Ucraina e 116 mila tonnellate dalla Russia. Queste quantità equivalgono a circa il 5% del totale delle importazioni italiane di grano tenero, ma bastano a far salire i prezzi che sono infatti aumentati del 33% in un mese (febbraio 2022), superando per la quota di 40 euro a quintale, massimo mai raggiunto in Italia (Confagricoltura, 2022).
Oltre a incidere sulla quantità di prodotto disponibile, il conflitto sta avendo ripercussioni dirette anche sul commercio mondiale dei fertilizzanti: nell’ultimo anno, l’Italia ha importato il 13% del totale dei fertilizzanti solitamente importanti da Ucraina e Russia, i quali dipendono in larga misura dai prezzi del gas naturale che proviene in maggior parte dalla Russia. Di conseguenza, visto l’aumento del prezzo del gas, l’accesso ai fertilizzanti si sta riducendo e il loro costo è aumentato considerabilmente (+142% nell’ultimo anno), tanto che gli agricoltori non riescono a provvedere al loro fabbisogno.
“Per far fronte alle sfide del mondo agricola è necessario tenere conto della guerra e della diplomazia, del cambiamento climatico e delle sue conseguenze, e della lenta risposta che la politica ha dato finora al miglioramento di questo settore che tocca direttamente tutta la popolazione. Urge una transizione sistematica dove si mettono al centro sostenibilità, digitale, innovazione e giovani”, afferma Claudia Laricchia, tra le autrici della ricerca.