Roma, 7 dicembre 2021. Rome Business School, scuola parte del network Formación y Universidades creato nel 2003 da De Agostini e dal Gruppo Planeta, ha pubblicato lo studio: “La contraffazione in Italia. Moda e arte: due pilastri del Made in Italy minacciati dal mercato del falso”. La ricerca, a cura di Valerio Mancini, Direttore del Centro di Ricerca della Rome Business School in collaborazione con Fabio Guglietta, CEO di BiT256 e i professori della Rome Business School Giosuè J. Prezioso, (Diritto ed Economia delle Industrie Culturali) e Michela Bonafoni, (Cultural Advisor e Program Director del Master in Fashion & Design Management), studia le caratteristiche principali del reato di contraffazione, i settori maggiormente colpiti e gli strumenti legali internazionali a disposizione per contrastare questa attività illegale in Italia.
La contraffazione rientra all’interno della categoria dei fenomeni criminali di carattere transnazionale, ma esiste una tendenza generale a sottostimare la serietà e la gravità di questo reato nonostante si confermi in forte crescita , indebolisca la forza lavoro italiana e sia fattore fortemente impattante l’economia: secondo uno studio dell’EUIPO (European Union Intellectual Property Office) e dell’EPO (European Patent Office), in Italia un posto di lavoro su 3 (circa il 31,5%) si trova nelle industrie che fanno un uso intensivo di marchi e brevetti, contribuendo alla metà del Pil italiano.
Questa attività illecita ha un notevole effetto negativo sull’economia dei paesi interessati e sulle imprese che ne sono colpite. Già nel 2008, l’OCSE stimava una riduzione dei profitti delle imprese per 2,9 miliardi di euro all’anno e perdite di oltre 100.000 posti di lavoro solo in Italia. L’International AntiCounterfeiting Coalition (IACC, 2010) ha stimato la vastità del fenomeno: il mercato della contraffazione ruota intorno al 10% del commercio mondiale, i maggiori produttori sono in Asia (Hong Kong, Cina, Turchia), mentre tra i consumatori prima è l’Europa (soprattutto Italia, Spagna, Turchia).
L’Italia è tra i primi produttori e consumatori di prodotti contraffatti
Secondo la stima di Illicit Trade (2020), l’Italia risulta essere il quinto paese al mondo per il valore totale del mercato nero ed è anche uno degli stati europei maggiormente colpiti dal fenomeno della contraffazione sia come paese produttore sia come paese consumatore.
Il settore più esposto è quello dell’abbigliamento, con un valore della produzione di 2,2 miliardi di euro, pari al 32,5% del totale. Seguono il comparto degli audiovisivi, con quasi 2 miliardi di euro (28,5% del totale), il materiale elettrico e i prodotti informatici con un 1 miliardo di euro, i prodotti alimentari anch’essi con un miliardo di euro.
Le categorie merceologiche più gettonate nel 2019 dai contraffattori sono gli accessori di abbigliamento, con un incremento rispetto all’anno precedente del +48%. In particolare, sono le borse e gli articoli in pelle le merci al primo posto fra i beni contraffatti importati: il 16% delle merci importate in Italia in questa categoria sono prodotti falsi. Seguono apparecchiature elettriche e quelle informatiche, con un incremento sopra il 90%, e le calzature con un +307% rispetto all’anno precedente.
Solo nell’ultimo anno, anche se in piena pandemia, in Italia, i prodotti contraffatti hanno garantito alla criminalità organizzata guadagni per almeno 2,5 miliardi, di cui almeno 225 milioni a carico delle aziende italiane. La Camorra è senza dubbio l’organizzazione più dinamica ed attiva, avendo già diversificato da anni le aree di azione criminale (la contraffazione di merci insieme al riciclaggio, al traffico di armi e di stupefacenti). Questa è attiva anche all’estero, mediante il controllo di attività commerciali – che mimetizza in attività imprenditoriali – e dando vita ad una complessa rete economico-finanziaria in Italia e in altri paesi, soprattutto in Europa occidentale, negli Stati Uniti, in Brasile, Canada e Australia. Non sono estranei alla contraffazione dei marchi anche clan appartenenti alla ‘Ndrangheta calabrese e alla malavita salentina.
A livello mondiale, i prodotti contraffatti generano più di $250 miliardi l’anno di profitti per la criminalità organizzata. Tra i Paesi le cui aziende subiscono maggiormente gli effetti di questo reato spiccano Stati Uniti, Francia, Svizzera, Germania, Giappone e Corea. Inoltre, dobbiamo considerare il danno economico prodotto dal mercato del falso, con la disoccupazione che ne consegue: secondo la Camera di Commercio Internazionale, infatti, si calcola che dal 2022 i posti di lavoro legittimi messi a rischio saranno circa 5,4 milioni, ed il danno d’immagine dei marchi nei confronti del proprio target di riferimento.
Per quanto riguarda i sequestri invece, secondo il Rapporto IPERICO 2021, tra il 2008 e il 2019 l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e la Guardia di Finanza hanno effettuato in Italia 184,9 mila sequestri per contraffazione, con circa 569 milioni di pezzi sequestrati (esclusi alimentari, bevande alcoliche, medicinali e tabacchi) del valore stimato di oltre 5,8 miliardi di euro, un grave danno per i veri produttori, aziende, marchi e titolari di brevetti.
Un’analisi regionale
I principali punti di snodo per le attività criminali legate alla contraffazione, sono rappresentati da Lombardia, Campania, Lazio e Liguria. I dati sui 12.422 sequestri per contraffazione evidenziano nel 2019 una concentrazione degli interventi nelle regioni Lombardia e Lazio, teatro del 48% del totale nazionale dei sequestri. La Lombardia, al primo posto con 3.765 sequestri (30,3% dei sequestri nazionali annuali), nel 2019 registra un incremento rispetto al 2018 del +34,7%. Nell’area di Milano (53%) e Bergamo (22%) sono stati effettuati il 75% dei sequestri lombardi.
Il Lazio registra con 2.181 sequestri il 17,6% dei sequestri 2019 (-22% rispetto al 2018), dimostrazione che la Capitale con la sua vasta area metropolitana e l’enorme flusso turistico continua a rappresentare un mercato rilevante per lo smercio di prodotti contraffatti. La Campania si trova al terzo posto con 1.098 sequestri l’8,8% dei sequestri 2019 (-6,6% rispetto al 2018), ed è seguita da Puglia e Toscana.
A livello mondiale invece, dalla ricerca emerge che i paesi di origine dei beni sequestrati si concentrano in Asia (83,29%), in particolare Hong Kong (46,4%), Cina (27,3%) e Turchia (10%). I principali settori coinvolti sono abbigliamento (29%), accessori di abbigliamento (19%), calzature (16%) e apparecchiature elettriche da Hong Kong; accessori di abbigliamento (32%), orologi e gioielli (29%) e abbigliamento (9%) dalla Cina; abbigliamento (34%), accessori di abbigliamento (31%) e calzature (24%) dalla Turchia.
In Italia, più a livello locale, i “falsi” vengono realizzati prevalentemente in Campania (abbigliamento e commodity), Toscana, Lazio e Marche (prodotti in pelle), nelle regioni del Nord-Est e Nord-Ovest (orologi), ma tra i falsi prodotti troviamo anche pezzi d’arte di notorietà e qualità internazionale.
La contraffazione nei mercati dell’arte e il Made in Italy
Un recente studio dell’Ocse (aprile 2021) ha quantificato in oltre 30 miliardi di euro il capitale generato dalla contraffazione di prodotti ‘Made in Italy;’ tuttavia, lo studio si concentra su beni di natura masso-commerciale – fra cui abbigliamento, prodotti elettronici e ottici, alimentare e farmaceutici – l’arte, come categoria, non è annoverata, ma si rivela comunque in forte crescita: solo nel 2020 il ‘Nucleo Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale Italiano’ – l’ente di difesa da queste e altre pratiche fraudolente – ha sequestrato ben 1.547 falsi, contro le 1.083 del 2019: in media 4 al giorno. Di questi, l’87% appartiene al segmento dell’arte contemporanea, la restante parte riguarda invece beni di altre epoche e reperti archeologici.
Nonostante i dati siano allarmanti, a renderli addirittura più seriosi è lo spettro del continuo ingresso di nuovi media coinvolti: salta all’occhio il boom nel sequestro di sculture, che è passato da 146 unità nel 2019 a 7.460 nel 2020. Oggi, dopo armi e droga, il mercato nero dell’arte è infatti la terza industria criminale più redditizia: la percentuale media stimata di opere contraffatte in circolazione è del 45%.
Quali strumenti per affrontare e fermare la contraffazione?
Negli ultimi anni sono stati sviluppati molteplici strumenti e metodi per riconoscere e tracciare i prodotti riconducibili a tre macrocategorie: le tecnologie identificative del prodotto (track-and-trace technologies); i dispositivi non visibili ad occhio nudo e percepibili solo da addetti (covert technologies); le soluzioni più evidenti percepibili anche dai clienti (overt technologies). Esiste però un duplice trade-off: uno tra il livello di sofisticazione dello strumento anticontraffazione ed il costo per la sua implementazione ed uno tra l’efficacia della soluzione e la percezione di questa da parte dei clienti (entrambi inversamente proporzionali). Per questo motivo, gli autori della ricerca sostengono che attualmente non esistono strumenti che non siano facilmente copiabili e che la soluzione migliore al fine di proteggere i prodotti è una combinazione di soluzioni track-and-trace, overt e covert.
Esistono anche altri strumenti innovativi, come quello sviluppato dallo spin-off dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, Aries: DNArt. Questa tecnologia inserisce un codice invisibile e irriproducibile nelle opere d’arte, senza danneggiarle, e può essere “letto” in ogni momento da appositi software. Un secondo esempio è la tecnologia ‘blockchain’, alla quale molti brand legati al settore fashion Made in Italy hanno già aderito durante la pandemia creando il “blockchain consortium”, in cui il processo di consenso viene controllato da dei nodi definiti a priori, sui quali viene distribuita l’autorità.
Uno tra questi, è il “The Aura Blockchain Consortium”, di cui fanno parte aziende come Prada, il gruppo del lusso LVMH, Louis Vuitton e Cartier. Esso, grazie al supporto delle nuove tecnologie, permetterà di dare al consumatore finale la possibilità non soltanto di conoscere la storia dei prodotti che andrà ad acquistare, ma anche di seguirne la tracciabilità. Blockchain e supply chain definita 4.0, che unisce blockchain, treceability, transparecy, sono strumenti utili quanto necessari per coloro che acquistano opere d’arte, dei quali è l’87% a chiedere più trasparenza nel processo.
Per gli autori, “l’Italia deve tenere sottocchio questo settore che si presenta florido e in crescita, dimostrando anche di avere la capacità adattiva di esplorare nuovi media come la scultura, nonché il web. Se dunque in prima battuta il contesto italiano si presenta come ricco forziere di opere imitabili e aperte alla contraffazione – con danni per oltre 30 miliardi di euro – e accusa i corrosivi interventi di contraffazione provenienti dai competitors esterni; dall’altro, quasi con un atteggiamento autoimmune, ne attiva di propri, mettendo in ginocchio i suoi produttori, che perdono in fiducia, distribuzione, equità e merito”.