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Cervelli in fuga – focus sulla provenienza regionale e principali destinazioni

Rome Business School – Research Center Report: I cambiamenti demografici, analisi di un fattore determinante per la crescita economica sostenibile, la resilienza sociale e lo sviluppo tecnologico.

Secondo le stime del “Centro Studi e Ricerche IDOS” 18, oltre che per i 112mila iscritti all’Aire per espatrio, il numero globale degli italiani all’estero è cresciuto nel 2020 per effetto di oltre 78mila iscritti per nascita all’estero, 8mila acquisizioni della cittadinanza italiana dall’estero e 22mila iscrizioni per altri motivi, pervenendo così ad un numero complessivo di 5.652.080 italiani iscritti all’Aire (di cui il 48,1% è costituito da donne, il 15% da minorenni, il 64,7% da adulti tra i 18 e i 64 anni e il 20,3% da ultra65enni).

Di questi, quasi la metà (48,9%) è originario del Sud Italia, il 35,5% del Nord e il 15,6% del Centro. Le partenze nell’ultimo anno hanno riguardato 107 province, le prime sei sono state Roma, Milano, Napoli, Treviso, Brescia, Palermo. Abbiamo visto che il ricambio demografico debole determina effetti soprattutto sulla popolazione di cittadinanza italiana, il cui ammontare continua a decrescere di anno in anno. In complesso gli italiani residenti ammontano erano 54 milioni 935mila nel 2020, con una riduzione di circa 240mila unità (-4,3 per mille) sull’anno precedente. Per i cittadini italiani risultano ampiamente negative le principali poste demografiche: il saldo naturale (-267mila unità), il saldo migratorio netto con l’estero (-77mila) e il saldo per gli aggiustamenti di carattere anagrafico (-2mila).

Parziale compensazione di tali diminuzioni deriva dalle sole acquisizioni della cittadinanza italiana (+109mila). Con la sola eccezione del Trentino-Alto Adige, tutte le regioni sono interessate da un processo di riduzione della popolazione di cittadinanza italiana. La questione colpisce particolarmente regioni demograficamente depresse o a più forte invecchiamento. Come ad esempio la Basilicata (-11,3 per mille), il Molise (-10,4) e la Calabria (-9,1) nel Mezzogiorno, ma anche regioni nel Nord del Paese come la Liguria (-8,7).

A livello di paesi di destinazione, i giovani italiani che vanno all’estero approdano soprattutto nei Paesi dell’UE. Secondo le statistiche ufficiali, gli italiani all’estero iscritti negli speciali registri anagrafici, residenti nella Unione Europea, sono circa 2,2 milioni. Il paese che accoglie il maggior numero di italiani è la Germania (1.198.032), che concentra più di un terzo delle presenze rilevate in Europa. A distanza, seguono la Gran Bretagna (14%) la Francia (13%), la Spagna (10%) e il Belgio (6%).

In questi cinque Paesi si concentra complessivamente il 60% degli espatri di cittadini italiani. Tra i paesi extra-europei, le principali mete di destinazione sono Brasile, Argentina, Stati Uniti, Australia e Canada. Le variazioni della dimensione demografica della diaspora europea risultano minime tra fine 2019 e metà 2020 (dati Fondazione Migrantes). Persino l’esperimento naturale della pandemia, durante la quale si è creato un incentivo sanitario al rientro in patria dei migranti non iscritti al sistema previdenziale del Paese ospite (cioè quelli meno radicati), non ha intaccato la taglia complessiva della popolazione degli italiani-europei. L’unico Paese in cui si registra una diminuzione degna di attenzione è il Regno Unito: il numero di italiani cala progressivamente in aprile, maggio e giugno 2020, mese in cui si contano circa un dieci per cento in meno di presenze rispetto alle rilevazioni dell’inverno precedente.

Nel caso inglese, l’emergenza sanitaria si è sovrapposta all’incipiente Brexit, che destabilizza i diritti futuri dei cittadini europei – e quindi anche l’accesso al sistema sanitario pubblico. La pandemia ha quindi probabilmente rinforzato un’inclinazione al ritorno che era già latente tra gli italiani d’oltremanica. Infatti, la fine della reciprocità accademica UE-UK che, fino ad oggi vedeva l’Italia come primo Paese per numero di studenti iscritti nelle università britanniche (14,000 nel solo anno accademico 2018-2019), porterà ad un aumento esponenziale delle tariffe universitarie e, secondo una recente indagine, oltre l’80% degli studenti non sarebbe disposto a studiare nel Paese se le tasse dovessero raddoppiare.