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Rimodulare la settimana lavorativa in 4 giorni: la ricetta del futuro

Flessibilità spazio-temporale, job sharing e sistema bottom up cosa chiedono oggi i lavoratori

Il Covid-19 ha mutato profondamente la nostra prospettiva lavorativa: i periodi di lockdown e di quarantena hanno costretto le aziende e le pubbliche amministrazioni, lì dove possibile, ad un inevitabile ricorso alla modalità di lavoro in smart working

Milioni di lavoratori di tutto il mondo hanno beneficiato, grazie alla tecnologia informatica e alla digitalizzazione, del lavoro flessibile e quando le restrizioni cesseranno definitivamente è molto probabile che non vorranno più tornare indietro

Certamente la recente pandemia ha rimesso in discussione l’approccio al lavoro facendo realizzare quanto la flessibilità possa essere la risposta più corretta per attuare quel cambio di passo che altrimenti avrebbe richiesto molti anni. Sotto certi aspetti il Covid, quindi,può essere considerato un acceleratore di un cambiamento culturale che va oltre la semplice gestione di una crisi emergenziale. 

Sono allora maturi i tempi per organizzare la settimana lavorativa di quattro giorni? 

Presto per dirlo. La settimana lavorativa di quattro giorni non è un concetto completamente nuovo. Basti pensare alla predizione del Premier britannico Winston Churchill, che nel 1953, sosteneva che si sarebbe arrivati a lavorare 4 giorni alla settimana grazie ai progressi della tecnologia. Prima di lui, con una posizione più visionaria, l’economista britannico John Maynard Keynes nel 1935 affermava che il perfetto equilibrio tra lavoro e vita privata si sarebbe raggiunto dedicandosi al lavoro soltanto per 15 ore settimanali.

La tematica dell’accorciamento della settimana lavorativa standard è oggi più che mai attuale. Ne abbiamo parlato con il dottor Andrea Montuschi, Docente allo Specialized Master in HR and Organization e Employee Experience Strategist presso Qualtrics,che ha evidenziato come da sempre, ancor prima della prima rivoluzione industriale, il lavoro sia stato remunerato sulla base delle ore lavorate. Secondo il dottor Montuschi, al contrario:

La ricetta del futuro sembra essere senza dubbio la flessibilità spazio-temporale, ovvero l’individuazione di modalità per permettere che le persone siano misurate per punti di motivazione e traguardi da raggiungere e non per il tempo speso alla scrivania. Questo rappresenta però un punto molto dolente per il nostro Paese. In Italia infatti subiamo ancora la pressione di molti datori di lavoro di vecchio stampo che ritengono che il vero segreto del successo sia quello di mantenere impegnati i lavoratori dalla mattina presto alla sera tardi, anche per nove dieci ore al giorno, non guardando la produttività ma esclusivamente il tempo trascorso in ufficio. Questo shift culturale è la conditio sine qua non per l’auspicato e necessario cambiamento delle aspettative e della cultura del posto di lavoro: perché è vero esattamente il contrario. Lavorare meno e per obiettivi fa aumentare la fiducia, l’engagement, il benessere, fa diminuire lo stress e aumentare la produttività. Proprio perché ci si sente parte attiva di un processo basato sulle proprie capacità e competenze. Ed è per questo che la settimana lavorativa di 4 giorni, seppur considerata sotto l’aspetto della flessibilità, rappresenta un’altra rigidità concettuale da superare.”

Sondaggio Qualtrics

Secondo una ricerca condotta da Qualtrics, su un campione di 14.000 lavoratori e lavoratrici di 30 paesi, il 35% degli intervistati ha affermato che se dovesse essere obbligato a tornare al lavoro full time, abbandonando la modalità ibrida o il remoto totale, cercherebbe un altro lavoro. Questo perché in massima parte la pandemia ha riscritto le nostre priorità. Le famiglie hanno modificato l’organizzazione e il loro stile di vita e riscritto il concetto di tempo.  Lavorando da casa, ad esempio, la gestione dei figli più piccoli è molto meno complicata e si può usufruire di un tempo supplementare, mai avuto prima, da dedicare a se stessi o ai propri cari.

Ma non tutto è oro ciò che riluce, perché le donne in generale, e le donne con posizioni manageriali in particolare, hanno pagato un prezzo altissimo durante la pandemia

Job sharing

Non c’è dubbio che per le lavoratrici le esigenze di conciliazione tra tempi lavorativi e tempi familiari sono diventate sempre più rilevanti. In Italia vi è un concetto ancora arretrato, quasi medioevale, sull’inclusione lavorativa al femminile ed è giunto il momento di superare la condizione paradigmatica di questa criticità e arrivare ad un reale job sharing. Il percorso è ancora lungo ed è anche per questo che è necessario incentivare la flessibilità per permettere alle donne di coltivare la loro professione senza dover rinunciare alla famiglia. Se ciò non accadesse sarebbe un errore gravissimo, perché le donne rappresentano un valore aggiunto, capaci come sono di apportare talento, specificità proprie e forte motivazione, tutti elementi preziosi nel mondo del lavoro.

Nel nostro Paese le grandi aziende, spinte più dalla convenienza – dal roi – che dalla convinzione, stanno approcciando positivamente la tematica dello smart working maggiormente sotto l’aspetto della spazialità piuttosto che della temporalità. Ma come sappiamo, il nostro panorama del business è composto per il 99% da aziende medio-piccole e micro e lì il discorso diventa più complesso.

Sistema di bottom up dei collaboratori

Secondo Montuschi un altro problema che dovremmo tentare di risolvere è il superamento delle barriere ideologiche che impediscono un sistema di bottom updei collaboratori. È necessario superareil concetto del management basato solo su un canale verticale discendente, privo di un qualsiasi strumento di feedback, che rappresenta al contrarioun fattore per migliorare le performance aziendali, perché crea una connessione “emotiva” tra dipendenti e responsabili, stimola il senso di appartenenza all’interno del gruppo e inevitabilmente aumenta la produttività.

Ecco perché è necessario cambiare, evolvere, trasformare la cultura del lavoro e più in generale i modelli di business del periodo pre-pandemia. 

ANDREA MONTUSCHI

Con oltre 20 anni di esperienza nel campo della consulenza HR e del clima organizzativo, le principali aree di competenza di Andrea ruotano intorno agli strumenti di misurazione (progettazione, gestione e interpretazione delle indagini) e alla consulenza (approfondimenti qualitativi e action planning). Ha trascorso i primi anni della sua carriera tra Londra e Parigi, tornando nel suo paese d’origine, l’Italia, nel 2003. Nell’ultimo decennio, Andrea ha coltivato un interesse per la creatività e l’innovazione, diventando un esperto facilitatore di Creative Problem-Solving e Lego Serious Play, tra le altre tecniche.