Le grandi innovazioni nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) hanno portato l’ottimismo alle stelle riguardo alla possibilità di trasformare le città in realtà sincronizzate dove ogni aspetto della vita, dallo scambio d’informazioni e di merci alla mobilità di persone e cose e non solo, si svolge in un contesto di “contemporaneità” che è assolutamente nuovo nella storia dell’uomo e dei contesti urbani.
La tesi di Patricia Oliveira della Syracusa University – The Synchronous City – offre spunti molto intriganti di riflessione riguardo alla conseguente possibile trasformazione architettonica delle città in sintonia con il radicarsi di nuove abitudini di vita, di lavoro, di scambio e di relazione introdotte dalla rivoluzione digitale.
In un crescendo di ottimismo senza precedenti, gli analisti hanno predetto che “l’età dell’informazione” metterà l’umanità in condizione di reinventare le città e di creare i presupposti per l’affermarsi dell’economia post-industriale da lungo tempo preannunciata. Così, molte città in tutto il mondo manifestano una devozione quasi religiosa nei confronti del progresso tecnologico, nella convinzione che rappresenti la condizione necessaria per realizzare lo sviluppo economico sostenibile, risolvere le tematiche legate all’ambiente e migliorare la qualità della vita.
Le città intelligenti stanno indirizzando risorse ed energie principalmente sugli aspetti tecnologici. I cavi in fibra ottica e le reti wireless si diffondono sempre più con l’obiettivo di collegare case, individui, istituzioni pubbliche e private. Oggi, i pianificatori urbani utilizzano l’Internet delle Cose o degli Oggetti (Internet of Things o IoT secondo la definizione usata per la prima volta da Kevin Ashton) per migliorare i servizi pubblici, rendere più sicure le città, raggiungere l’efficienza energetica e monitorare meglio i processi governativi. Senza dubbio, queste innovazioni legate alle nuove tecnologie stanno conseguendo molti dei risultati promessi. Tuttavia, la domanda che è proposta costantemente nel dibattito pubblico è se queste innovazioni sono realmente in linea con le aspettative in termini di cambiamento della vita dei cittadini.
In realtà, l’entusiasmo eccessivo che ha accompagnato l’avvio della rivoluzione digitale si è attenuato al giorno d’oggi. In diversi casi, una pianificazione urbana troppo utopistica ha generato spazi vuoti e città fantasma. Per fare un esempio, l’Eco-city di Tianjin, la Singapore cinese, ha attratto $ 400 milioni in investimenti privati, ma non abbastanza cittadini per coprire il fabbisogno di manodopera. Nonostante la pianificazione ambiziosa e le premesse tecnologicamente super-intelligenti, la città non è riuscita ad attrarre i cittadini. Il problema fondamentale è sorto dalla componente culturale, che è stata completamente trascurata. Una visione inadeguata di una sostenibilità urbana che insiste sugli indicatori economici e ambientali, senza cogliere le sfumature culturali di un luogo, produce, in ultima analisi, città che non sono né intelligenti né sostenibili.
La pianificazione urbana dovrebbe essere il risultato di un amalgama equilibrato di tecnologia e cultura. Nel Coriolano di Shakespeare, uno dei tribuni chiede alla folla: “Che cos’è una città se non il suo popolo”. Infatti, migliorare la qualità della vita non è solo una questione di tecnologia; si tratta di relazionare e ispirare le persone, di offrire opportunità di lavoro e la possibilità di sognare; riuscire a rendere più sopportabili le differenze e ad adottare indirizzi inclusivi. E, senza alcun dubbio, è un problema di coinvolgimento e d’istigazione dei cittadini alla consapevolezza politica e alla partecipazione civica.
Questo percorso passa attraverso l’avvio di progetti urbani che comprendono modelli di sviluppo culturalmente adattabili. Una pianificazione urbana contestualizzata può nascere soltanto dalla comprensione della storia, dai valori sociali e dagli indirizzi estetici e artistici di un luogo. Non sorprende che città d’arte come Roma siano così attraenti, riflettono, infatti, assiomi estetici che esaltano i principi della società. Joseph Campbell ha detto una volta: se volete scoprire i valori di riferimento di una società, dovreste prendere in considerazione la destinazione d’uso degli edifici più imponenti che si stagliano all’orizzonte. Nelle città storiche questi edifici sono dedicati soprattutto alla religione; in quelle più moderne sono dedicati agli interessi delle multinazionali. Il concetto sottolinea e ricorda quanto può essere vaga l’espressione “città intelligente”.
La misura di quanto creativa è una città è un po’ come la “pietra di Lidia”, un semplice ma importante strumento metrico per misurare “l’intelligenza”. Istituire distretti culturali e artistici — con sedi per eventi, gallerie, manifestazioni pubbliche, caffetterie e negozi — è un modo splendido per investire sul capitale umano e sociale. Dare potere alle comunità rafforza la società civile e riduce il gap tra gli elettori e gli eletti. Una città in grado di soddisfare i bisogni di autorealizzazione e di partecipazione è capace di attrarre e di poter contare su una grande forza creativa e su cittadini devoti. Infatti, questa sintonia tra città e cittadini spiana il cammino a una comunità molto competente e preparata per affrontare le sfide del futuro.
Le istituzioni culturali e gli artisti animano le comunità e danno vita al cambiamento. Non sorprende che molti specialisti focalizzino l’attenzione sull’inizio dell’era della “Classe Creativa”. Secondo il Nomura Research Institute, ci sono le condizioni ideali per lo sviluppo della “Età Creativa”; un’epoca in cui le nazioni possono prosperare perché rispettano e tollerano la libertà di espressione individuale e riconoscono che l’innovazione — e non la produzione di massa di beni di modesto valore — è la forza trainante della new economy. Di conseguenza, l’arte e la creatività diventano fondamentali per valorizzare i legami tra cultura e affari.
Nel prossimo decennio si stima che circa 250 miliardi di dollari saranno investiti nel mondo per la creazione di nuovi distretti culturali. Reinventare una città che valorizzi la creatività e l’innovazione è come scoprire alcuni elementi di base dello sviluppo. Per una città “sincrona” del XXI secolo, nessun percorso diverso rispetto a quello della conoscenza e della cultura è in grado di garantire una transizione lineare verso la sostenibilità economica e la vitalità socio-politica.
Elpiniki Karakosta: Master in Arts and Culture Management