La ricerca è stata curata da Valerio Mancini, direttore del Rome Business School – Research Center e da Camilla Carrega, coordinatrice del Master in Food and Beverage Management.
L’Italia del vino ai tempi del covid-19. la nuova mappa dei consumi e i paesi più penalizzati, gli astri nascenti e i consumatori del futuro con la Cina al secondo posto nel mondo e il sorpasso del Canada sull’Italia, le opportunità occupazionali con il boom degli under 25 e tanti nuovi mestieri, l’evoluzione dei modelli di impresa verso la transizione 3.0
La nuova ricerca del Rome Business School – Research Center evidenzia Cambiamenti, Trend Globali e Sfide della bevanda più amata per eccellenza in un settore che perde il 9% del suo fatturato e che varrà 207 miliardi di dollari nel 2022
Un settore quello enologico che solo nel 2019 valeva in Italia 6,4 miliardi di export, conta 310 mila imprese e a livello globale si prevede toccherà il valore di 207 miliardi di dollari entro il 2022 come cambierà questo nell’era del Post Covid? Il 2020 segna un cambio di scenario con nuovi player che scalzano il primato degli Stati leader, malgrado l’emergenza sanitaria, nuove abitudini di consumo e trend di spesa e una più ampia scala di opportunità lavorative soprattutto per i giovani che mostrano talento in questo settore, identitario di eccellenza per l’economia italiana.In questo contesto si colloca anche la ricerca condotta dal Rome Business School – Research Center che evidenzia: le aree maggiormente penalizzate in termini di produzione e consumi, le stelle nascenti sia a livello di regioni italiane che di nuovi Paesi che si affacceranno sulla scena, l’evoluzione dei modelli di impresa dove si assiste ad un boom di aziende guidate da giovani under 25 e da donne, i nuovi mestieri legati al vino, e le possibili linee di azione per realizzare compiutamente la transizione verso un mercato del vino 3.0.
L’emergenza sanitaria da Covid-19, il relativo distanziamento sociale, il tendenziale calo dei consumi interni, parallelamente al deciso aumento della domanda statunitense, ha fatto scivolare l’Italia al terzo posto tra i Paesi consumatori. Si beve meno e con maggiore qualità – con un vero e proprio boom dei vini biologici e la leadership salda nelle mani della Sicilia, che, con 36mila ettari rappresenta il 34% della superficie vitata più estesa d’Italia – ma il tasso di penetrazione resta pari all’84% degli italiani. Il Lambrusco si conferma il vino più popolare d’Italia, primo in termini di volumi, seguito a ruota dal Chianti, che però detiene il primo posto per vendite in valore. In merito a Bianchi e Bollicine troviamo partendo dalla Lombardia: Franciacorta, Pinot, Chardonnay e Vermentino Sardo. Tra i vini emergenti, invece, spopola il Lugana, piazzandosi saldamente in prima posizione, seguito dal Primitivo Pugliese e a cascata dalla Passerina Marchigiana, dalla Ribolla Gialla Friulana e dal Negroamaro della Puglia.
Dal punto di vista regionale, va sottolineato nel 2019 il forte progresso di Sicilia (+2.4% al 45.5%) e Sardegna (+1.4% al 49.4%), che sono comunque in fondo alla lista per penetrazione di consumo. Tra le regioni invece con i consumi più importanti, si nota un calo dell’Emilia-Romagna (-1.4% rispetto al 2018, al 61.1%), che comunque resta la prima regione italiana in questa classifica. Secondo una stima su dati ISTAT è emerso come nel 2020 le regioni italiane con il più alto tasso di consumo di vino entro una popolazione che va dagli 11 anni in su siano Valle D’Aosta, Toscana ed Umbria, mentre il tasso più basso di consumo di vino (e birra) è relativo a Toscana ed Umbria. L’Italia, leader mondiale a livello produttivo ma perderà terreno nell’export, attesa flessione del 9% Per ciò che concerne la produzione si presentava ad affrontare il mercato vinicolo 2020 con un ruolo importante: nel 2019, infatti, oltre ad avere confermato la leadership mondiale a livello produttivo, con 47,5 milioni di ettolitri, aveva anche riconquistato il primato, seppure di misura, nelle esportazioni a volume che avevano raggiunto i 21,6 milioni di ettolitri di vino (+10%) contro i 21,4 milioni della Spagna
Le regioni traino dell’export italiano sono: Piemonte (+4,2%), Veneto (+3,2%) e Toscana (+4,4%), che nell’insieme raggiungono quasi il 70% del totale di export di vino Italiano per un valore complessivo di 4,46 miliardi di euro. Guadagna terreno Molise (con una straordinaria performance da +15,9%), ma il premio per la crescita maggiore è quello della piccola Valle d’Aosta, il cui export di vini ha toccato quota +51,8%. Per quanto riguarda, invece, il futuro dell’export del vino italiano, le proiezioni al 2025 del consumo evidenziano invece modifiche delle quote dei singoli Paesi rispetto ad oggi abbastanza marcate. La crisi economica potrebbe rallentare la crescita dei consumi mondiali. Per il 2020, infatti, si stima una flessione (-9%), che potrebbe essere parzialmente compensata dal «rimbalzo» del 2021 (+7%).
La Cina dovrebbe raggiungere il secondo posto dopo gli USA posizionandosi davanti a Francia e Germania, mentre il Regno Unito supererebbe l’Italia andandosi così a collocare al quinto posto. Sarà il Canada a superare di poco l’Italia al quarto posto. Anche per il vino premium, la Cina rafforzerà il suo primato sopra gli USA, mentre il Regno Unito si troverà allineato con la Germania per il terzo posto. Importante infine il contributo alla crescita dei consumi dell’Africa.
A livello globale, stiamo assistendo ad una crescita del mercato enoico tanto che si prevede di toccare il valore di 207 miliari di dollari entro il 2022. Sono solo dieci i Paesi in cui convergono oltre la metà del mercato delle cantine di tutto il mondo: al primo posto gli Stati Uniti con un giro d’affari di 32 miliardi di dollari, seguiti dalla Cina, dove il mercato enoico ha fruttato nell’ultimo anno ben 24 miliardi di dollari. Nell’ultimo gradino del podio, al terzo posto, c’è la Francia, con un valore di 14,4 miliardi di dollari. L’Italia è solo quinta, con 9,7 miliardi di dollari. I primi dieci Paese detengono la metà di tutto il mercato del vino a livello mondiale. Tra i mercati più importanti, si inseriscono anche il Brasile, con 3,6 miliardi di dollari, la Spagna, con 3,4, dato alquanto strano visto che si tratta del terzo maggior produttore al mondo, seguita, a sorpresa, dall’India, il cui mercato enoico vale 2,7 miliardi di dollari.
Nonostante la crisi, il settore vitivinicolo manifesta interessanti potenzialità lavorative, con le aziende vitivinicole che impiegano circa 210 mila addetti, fra i quali 50.000 giovani. Abbiamo infatti assistito ad un vero e proprio “ritorno alla vigna” da parte di produttori under 25, con un aumento record del 38% e si stima che i produttori di vino sotto i 25 anni siano saliti a quota 1200 nel giro di un solo anno, su un numero totale di 210mila addetti tra cui 50mila giovani. In tutta Italia sono inoltre attivi nelle varie università circa 20 corsi di laurea in viticoltura, enologia, enogastronomia ed alimentazione e oltre 400 corsi post laurea legati al vino. Dopo gli studi il 41% degli studenti trova un lavoro attinente, di cui l’87% in Italia. I mestieri del vino sono numerosi e coinvolgono settori molto diversi, ad esempio responsabili delle analisi e controllo della qualità dell’uva, con conoscenze chimiche tecnico/specifiche, enologi, cantinieri e sommelier. Più moderna invece la figura del Wine Blogger, ovvero specialisti del settore vinicolo intenditore e conoscitore di enoteche e cantine che sponsorizza dando consigli e guide ad appassionati e/o intenditori; l’Accompagnatore Enoturistico impegnato nella costruzione di itinerari e percorsi enogastronomici; il Brand Ambassador in prima linea responsabile della comunicazione e vendita del prodotto ed infine il Wine Hunter, letteralmente il “cacciatore di vini”, figura professionale di alto profilo la cui funzione è di scoprire i vini migliori per poi farli conoscere e trasmetterli al cliente, aumentando la redditività delle aziende di produzione.
Lo studio della Rome Business School ha messo in evidenza la necessità di puntare su un vero e proprio “Progetto Italia” a partire da una semplificazione burocratica che ad oggi ci sta rallentando rispetto ad altri Paesi che dovrebbe unire istituzioni e territori per sostenere promozione e commercializzazione del vino italiano. Il positivo trend di consumi registrato durante il lockdown, insieme alle vendite realizzate dall’universo dell’e-commerce e del wine delivery, che nelle principali città italiane ha fatto registrare numeri da capogiro (+500% in un mese soltanto nella città di Roma) di certo non potrà compensare la vera e propria voragine nei consumi dovuta alla chiusura del canale di bar e ristoranti. Sarà necessario, infatti, cercare una strategia di accompagnamento e sostegno alle imprese verso la transizione 3.0 del vino italiano con interventi in favore della trasformazione digitale, di una maggiore sostenibilità della filiera, di natura regolamentare e semplificazione normativa.
“La ricerca condotta dal Rome Business School – Research Center offre un quadro informativo aggiornato e dettagliato sul settore vinicolo a livello nazionale, regionale e, più ampiamente, internazionale da cui gli operatori economici e istituzionali possono trarne utili spunti di riflessione e indicazioni operative. – commenta Antonio Ragusa – Dean della Rome Business School – In questa analisi abbiamo voluto anche approfondire l’evoluzione delle professionalità connesse al settore vinicolo che, malgrado la crisi, sono molto promettenti.
I risultati evidenziano la necessità di nuove competenze legate non solo alle tecniche produttive, ma sempre di più agli aspetti gestionali, di marketing e di sviluppo del business in un quadro globale. Per questo abbiamo predisposto un’offerta formativa specifica sul management del settore enogastronomico, Master in Food and Beverage Management, valutata nei ranking di Eduniversal tra le migliori al mondo”