La bellezza non può essere mai considerata un concetto statico, perché rispecchia lo spirito dei tempi e si propone come chiave interpretativa di ogni società. Ogni epoca, infatti, definisce un proprio canone estetico che lascia tracce ed è conseguentemente capace di incidere nella formazione di nuovi modelli culturali.
Questo processo influenza fortemente il mondo della moda: l’esperienza esplorativa e i differenti linguaggi del fashion rispondono infatti ai criteri della narrazione del contesto storico, sociologico, politico ed economico nei quali si inseriscono, intersecandosi irrimediabilmente con le emozioni ed il loro potere comunicativo.
Ma la moda ha seguito soprattutto l’evoluzione del ruolo della donna nella società, una sorta di parallelismo tra le grandi rivoluzioni economico-sociali degli ultimi due secoli e la sua emancipazione, che ha permesso di superare l’archetipo patriarcale che la voleva unicamente essere procreatrice, trasformandola in persona conscia dei propri diritti e padrona del proprio futuro.
Gli abiti infatti disegnano e trasformano il corpo donandogli un’identità, anche in dissonanza con i modelli della cultura dominante.
Per analizzare e sviscerare lo scenario attuale della moda ed approfondire la tematica dell’abbigliamento come codice in grado di veicolare messaggi sociologici condivisi ci siamo confrontati con la docente Michela Bonafoni, Program Director dell’ Executive Master in Gestione della Moda e del Lusso della Rome Business School che ci ha detto:
“Vorrei sottolineare l’etimologia della parola moda: dal latino, modus indica un modello estetico o di comportamento. La moda infatti è anche la vita che scelgo di condurre e il modo di come decido di manifestarmi all’interno del mio contesto sociale. È sempre esistito un dualismo che lega la vita e la moda che è capace di far confluire in un immaginario collettivo attualità, politica, economia, società e che si traduce nella codifica di una collezione, perché la moda ha il dovere estremo di leggere la società in cui si vive. Questo è l’importante insegnamento di George Simmel, considerato uno dei padri fondatori della sociologia, che con il suo saggio del 1910 “La Mode” ha fornito un fondamentale contributo per gli studi sui fenomeni della moda nella società.”
I ragazzi della generazione Z si preoccupano del loro aspetto fisico e del loro peso molto più di quanto avveniva per gli adolescenti del passato, atteggiamento che si accompagna a un aumento dei disturbi dell’alimentazione.
In Italia secondo il Rapporto sull’obesità del 2018 (con delle integrazioni al 2020, focus sulla fascia di età 16 ai 30 anni), si nota una differenza di distribuzione geografica relativa al rapporto con il cibo. Il Nord Est e il Nord Ovest sono portavoce di un benessere legato a fattori economici, ad una sostenibilità alimentare e alla pratica sportiva “contro” un Sud dove, in particolare nelle Regioni come Campania, Basilicata e Puglia, si rimarca un alto tasso di obesità legato soprattutto alla cultura del buon cibo. Inoltre, gli ultimi dati dell’Osservatorio globale sulla salute dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, indicano l’Italia come il terzo paese nel panorama internazionale con il dato più grave sia di sovrappeso, che di obesità.
“Nell’aumento dei disturbi alimentari nelle giovani generazioni hanno un ruolo determinante i social network comeFacebook e Instagram e ancora di più Tik ToK. Spesso ad un commento negativo, magari perché non si sono inseriti filtri migliorativi della propria immagine, corrisponde un mal-essere, e mi preme distinguere i due termini che compongono la parola, che fa cadere nel buio i nostri ragazzi.
E’ importante parlare loro dei fenomeni disastrosi di anoressia e bulimia e di obesità, – un 45% del fenomeno è riportabile al sesso maschile – perché i giovani sono i consumer più importanti di oggi e la moda può e deve intervenire in tal senso, come avvenne con la campagna choc contro l’anoressia “Nolita” e le conseguenti azioni promosse dalla compianta Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia e dalla Camera Nazionale della Moda.”
Un unico ideale di fisicità in passarella non esiste più. Nella popolazione femminile, internazionale ed italiana, si sta imponendo anche un nuovo modello di femminilità che valorizza un corpo sinuoso, “mediterraneo” da sempre sinonimo di buona salute e di accoglienza.
Un corpo curvy, inoltre, trasmette un messaggio positivo di completa accettazione del proprio essere, anche molto lontano dai modelli legati all’antica perfezione di forme sottili, troppo spesso proposti dai media.
“La moda lavora da sempre con la desiderabilità che ha un diretto rapporto con il desiderio: è come voler dire ho un mio sogno e quell’archetipo io lo voglio e lo posso raggiungere.
Sottolineando il sentiment della desiderabilità la moda ha innanzitutto un grande potere che condivide con la musica: abbattere le barriere dogmatiche, sconfiggere i canoni precostituiti e lanciare messaggi internazionali.
Da sempre il dualismo moda e musica, dagli anni 50 agli anni 80, passando naturalmente per i 70, ha sposato i giovani, le loro ribellioni che per senso etimologico indicano la volontà di un “ritorno al bello” e creato quelle sub culture che portano alla rottura dei paradigmi culturali. Finalmente dopo anni in cui ci eravamo dimenticati di leggere la realtà siamo tornati ad osservare il mondo. Dal 2013 abbiamo creato i presupposti per soddisfare nuove esigenze come quella di essere inclusivi e di parlare a delle realtà che a loro volta sono diventate sub culture e a coloro che sono rappresentativi di settori di mercato “portatori di problematiche”. Nike, ad esempio è il marchio che a livello di comunicazione internazionale è stato uno dei precursori delle campagne pubblicitarie con modelle curvy all’interno dello sportswear, da sempre amato dalla Gen Z.”
La cultura della inclusione, nata negli Stati Uniti e divenuta internazionale, grazie alla grande echo dei social network, porta al superamento del concetto di body positivy che si trasforma, elevandosi nell’accezione di body power.
Modelle plus size come Jill Kortleve, Ashley Graham, Stella Duval, Paloma Elsesser – solo per citarne alcune – insegnano l’arte dell’accettazione di se stesse e parlano ai giovani, alla generazione Z, con un attivismo calato nella propria quotidianità. Sono voci importanti, ambasciatrici dell’età contemporanea, che prendono posizioni in favore dei diritti LGBT+ o per un trattamento migliore nei confronti della diversa abilità, ponendo in essere concrete azioni di responsabilità sociale e civile.
In Italia il 2017, per esempio con Marco Rambaldi, può essere considerato l’anno dello spartiacque nella storia della moda, ovvero il momento in cui l’inclusività diventa protagonista in passerella: forme diverse, generi diversi, età diverse, diverse abilità. Il giovane designer, vincitore nel 2014 del contest Next Generation promosso da Camera Nazionale della Moda e finalista dell’edizione del 2017 del talent “Who is On Next?”, promosso da Vogue Italia e AltaRoma, ha sempre ritenuto l’estetica come un elemento caratterizzante della storia personale delle modelle, capaci di trasmettere valori e messaggi anticonvenzionali.
“Parlare di body power non rappresenta soltanto un cambiamento semantico, volendo tornare alla semiologia, ma un vera e propria trasformazione della prospettiva dell’erotismo. Le modelle plus size, o plu agées non sfilano più su passerelle separate ma partecipano ai defilé insieme alle altre, che indossano le canoniche taglie 38-40. Non esiste più una frammentazione perché le donne non hanno più etichette: saranno poi i consumer a decretare il successo o meno di una pubblicità o di una collezione. Anche dove la nostra ambasciatrice plus size Elisa D’Ospina sfila con un brand non settoriale. Mi piace inoltre sottolineare che la moda curvy non è solo protagonista in passarella ma anche nelle tavole rotonde e negli eventi collaterali che animano la moda, come è avvenuto nell’ultimo Milan Fashion Week.”
Il fenomeno over non riguarda solo l’universo femminile: attualmente il comparto si sta aprendo anche ai modelli, che più lentamente delle colleghe stanno trovando posto nel mondo della moda. Le forme degli uomini, che quando non risultano più scolpite rimangono comunque “muscolarmente” morbide vengono ora definite brawn, termine che indica potenza e prestanza fisica.
È il nuovo fenomeno della moda creato dai social network che sdoganano i pregiudizi rivendicando la libertà, anche per gli uomini, di avere qualche chilo di troppo.
“C’è una generazione incredibile, soprattutto americana, che si riconosce in questi nuovi modelli, di cui Mirzo Zach e Dexter Mayfield sono i testimonial più seguiti. I primi che hanno compreso la forza di questo filone sono stati i creatori del Fash Fashion H&M, che hanno disegnato una collezione dedicata alle taglie più forti, dal punto di vista maschile. Anche qui mi piace sottolineare il termine forte che ha etimologicamente un’accezione positiva. Anche Rihanna, icona internazionale ha compreso l’importanza del fenomeno e ha trasformato il suo marchio Fenty for Beauty– un makeup creato appositamente per pelli differenti adatta a tutti i generi e le culture – in un marchio anche di lingerie, “Savage X Fenty” dedicata proprio agli uomini curvy.”
“Per quanto riguarda le nuove prospettive partiamo da un contesto molto particolare, ad esempio le sfilate che si sono svolte a febbraio marzo 2022 hanno dovuto fare i conti con la guerra in Ukraina. Balenciaga, il cui direttore creativo Demna Gvasalia è Georgiano, ha cambiato in pochi giorni parte della sua collezione. Si partiva da disegni che riproponevano una silhouette anni 50 riveduto in chiave Balenciaga ed evocazione del post secondo conflitto mondiale che richiamava idealmente all’idea del post pandemia da Covid 19. La volontà dell’immaginario creativo era focalizzato su un nuovo umanesimo. Ora è necessaria una nuova postilla, un nuovo codice rappresentato dai sentimenti della “vicinanza” per superare gli attuali tempi di crisi non solo economica ma soprattutto umanitaria. Il trend conseguente sarà la volontà di colore, che esprime la voglia di vivere, affiancato al nero per esprimere il lutto e la fragilità del mondo. Dobbiamo cambiare paradigma, le parole chiave con cui la moda sta lavorando nel 2022 sono proprio paradigma, controcanto e immaginazione. Naturalmente non si può poi prescindere dal metaverso e tutto ciò che la rivoluzione digitale contiene che rappresentano il vero controcanto.”
In questo complesso scenario la responsabilità sociale, come detto, si tramuta in azione concreta. Il brand activismrappresenta il ruolo attivo nel sociale delle aziende e degli influencer rispetto alle questioni del nostro tempo: le problematiche ambientali, sociali, politiche ed economiche.
E’ un termine coniato da Philip Kotler e Christian Sarkar nel volume del 2018 dal titolo “Brand Activism, from purpose to action” . E’ il nuovo imperativo dei consumer che sono sempre più attenti all’aderenza tra valori professati e le azioni poste in essere concretamente dai brand e dagli stessi influencer.
“Questo nuovo genere di attivismo passa automaticamente dallo scopo all’azione. L’influencer e il brand devono dimostrare con azioni pratiche e tangibili che mantengono le promesse date. Per esempio non basta più dire no alla guerra: a questa affermazione deve corrispondere almeno ad una donazione, una maglietta regalata, una collezione donata perché l’impegno è espressamente richiesto dalla generazione Z. Questo rappresenta un cambio di passo sostanziale in una società improntata da sempre all’apparenza.”
Fashion Trend Researcher per il più importante marchio di Wella Hairstyling chiamato Miu’ Creative Hairstyling e si occupa della direzione creativa. Cultural Advisor per aziende del settore fashion e beauty. Ha un MBA in Fashion Marketing and Communication al Central St Martins College di Londra e un background in scienze della moda e del costume. È Program Director dell’Executive Master in Gestione della Moda e del Lusso della Rome Business School.