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Il futuro del marketing; nasce l'"Homo mediaticus"

Intervista al sociologo Luigi Gentili

Negli ultimi anni, il marketing ha subito una profonda evoluzione. Le tecniche utilizzate, in pubblicità ma anche nella politica, sembrano orientate verso una progressiva smaterializzazione dei prodotti. È l’immagine che prende il sopravvento su tutto. Chiediamo al sociologo e saggista Luigi Gentili, docente presso la Rome Business School, quali sono le nuove strategie che la comunicazione mediatica ci riserva per i prossimi anni.

Prof. Luigi Gentili quali sono le nuove leve del marketing oggi, in una società caratterizzata dalla supremazia dell’immagine?

Indubbiamente, oggi il marketing sta raffinando le sue tecniche di persuasione. I consumatori hanno nuove esigenze, cercano momenti di evasione e li trovano in nuove forme di aggregazione sociale. Se un tempo l’immagine era un modo di essere, una forma di narcisismo individuale, ora si concretizza in quelle che Michel Foucault chiama eterotopie. Queste sono dei luoghi in cui l’immagine si concretizza. Eterotopico è, per esempio, lo specchio, dove ci vediamo in un ambiente dove non siamo, in un posto irreale che si apre virtualmente dietro la superficie ma che, al tempo stesso, è un luogo assolutamente reale, legato a tutto lo spazio che gli sta intorno. L’eterotopia è uno spazio aperto che ha la caratteristica di far sentire gli individui fuori. Tutti possono entrarci, ma, effettivamente, una volta dentro, ci si rende conto che è illusione e che non si è entrati da nessuna parte. Il marketing di successo, attualmente, è quello che riesce a creare delle eterotopie.

Una vera e propria rivoluzione, non è vero?

È una rivoluzione che riguarda non tanto i beni in sé quanto la loro fruizione. L’adesione al nuovo diktat si concretizza in una pluralità di spazi: giganteschi parchi di divertimento, sale di casinò, navi da crociera, impianti sportivi, ipermercati. Emergono nuove forme di fascinazione. Il consumo stesso assume dei tratti  religiosi, di tipo magico. Nei templi del consumo, come li chiama il sociologo americano George Ritzer, si avverte il bisogno di offrire un numero sempre maggiore di scenari artificiali. Lì si celebrano riti dove tempo e spazio sono annullati. Il casinò di Las Vegas costituisce un esempio perfetto di questo fenomeno. Al suo interno troviamo un funzionamento ininterrotto, l’eliminazione di tutti i possibili riferimenti al tempo naturale (la luce solare, il buio): la mancanza di porte e finestre, l’inesistenza di orologi, un’architettura di ampi spazi e in continua riorganizzazione, l’uniformità dei comportamenti.

Oltre alla rivoluzione degli spazi, il marketing punta molto sull’immagine di marca. Sa dirci qualcosa su questa nuova frontiera del business?

Le marche sostituiscono i beni. Più che i prodotti in sé si acquistano dei simboli, delle rappresentazioni, dei rimandi impliciti attorno a un brand. Le scelte di consumo divengono scelte di marche, emblemi di un preciso sistema di valori e di aspettative. Le imprese oggi devono puntare a rafforzare la loro immagine di marca, le vendite vengono dopo. Sta nascendo una nuova branca del marketing che utilizza gli studi antropologici. Le marche vengono legate a degli archetipi, e attraverso questi entrano nella psiche dei consumatori e ne orientano i comportamenti. Esistono molti gruppi sociali che trovano nella marca i loro segni di riconoscimento.

Nasce allora il marketing tribale?
Esattamente.

Di cosa si tratta?

Il marketing tribale è la capacità di creare un gruppo di persone appassionate a un brand. Se un’impresa riesce a farlo, è vincente. La fidelizzazione dei clienti arriva ai massimi livelli. La tribù funziona perché fa fronte al “desiderio di comunità”, che è forte. Il tribalismo rimanda alla ricerca di un legame collettivo, deteriorato in una società che è anonima e massificata. Si rinnova così la dimensione selvaggia dell’esistenza, la nascita di micro-gruppi dove gli individui stabiliscono forti legami emotivi. Può trattarsi di bande, gruppi di appassionati, clan, club e simili.

L’universo dei giovani rappresenta l’esempio più lampante di questo fenomeno. Tra i giovani è sempre più marcatamente sentita l’esigenza di appartenere ad una tribù. Sono tante le tribù di giovani sulla scena del sociale, ed ognuna ha i suoi brand. Tribù come i fighetti, i truzzi, i rapper, gli alternativi o i papaboys hanno le loro marche che indicano chi fa parte del gruppo e chi è fuori.

Oltre al marketing tribale quali sono le altre strategie di business emergenti?

Ne esistono diverse, e rientrano nella categoria del marketing non-convenzionale. Possiamo ricordare, ad esempio, il marketing virale, che si fonda sul passaparola e fa largo uso di internet; abbiamo poi l’advertainment, volto a far divertire il consumatore attraverso mini-film, siti multimediali, cartoni animati o videogiochi. Importanti sono altresì il marketing esperienziale e il guerrilla marketing. Il primo mira a far vivere nel consumatore un’esperienza unica e memorabile, all’interno di luoghi circoscritti, tematici e rassicuranti: rientrano in questa categoria i concept store, i parchi a tema, le mostre o le gallerie d’arte. Il guerrilla marketing, da ultimo, fa ricorso ad una tattica aggressiva, che colpisce di inaspettatamente come in un agguato: è rapido, improvviso, potente e di breve effetto. Colpisce la vittima nei momenti e nei luoghi più impensabili. Le modalità di realizzazione sono tante. Può riguardare l’utilizzo di strade e spazi pubblici per promuovere un prodotto o una marca: distribuendo, ad esempio, stampati alle fermate dei mezzi pubblici o inserendo un logo aziendale in una manifestazione culturale o sportiva.

Nel suo ultimo libro “Homo mediaticus. Mass media e culto dell’immagine”, pubblicato con Armando editore, lei parla di una mutazione genetica. A cosa si riferisce?

L’homo mediaticus, come lo chiamo, è un’evoluzione dell’homo sapiens. Nel libro omonimo, ne illustro i tratti comportamentali. L’homo mediaticus ama vivere in uno spazio artefatto, lontano dagli impegni della quotidianità. Non solo ama esibire la propria immagine ma vive in ambienti in cui l’immagine si concretizza. Ciò si ricollega a quanto abbiamo detto prima. L’homo mediaticus è l’uomo prodotto dal marketing, che vive nel presente, privo di memoria e di progettualità. E’ imponderabile. Ha una natura pirandelliana, essendo uno, nessuno e centomila. Non possiamo ancora dire se sia migliore o peggiore del passato, possiamo solo dire che è cambiato. Radicalmente.

Un’ultima domanda. Quello che lei definisce homo mediaticus che rapporti ha con la politica?

L’homo mediaticus è attratto dall’estetica, incantato dall’apparenza. Basta guardare i criteri che oggi impongono la scelta di un candidato politico. I candidati vengono scelti sempre più attraverso criteri mediatici, che rimandano all'”effetto setaccio”: telegenia, capacità di parlare in pubblico, competenze dialettiche, presenza scenica, appeal, ecc. Ciò ha permesso la nascita di nuovi specialisti di marketing, gli spin doctor. Si tratta dei consulenti di immagine, la cui richiesta nei prossimi anni sarà in ascesa. Essi sono utili ai politici ma anche ai vip, a personaggi noti e importanti di ogni settore. Come affermava il noto pubblicitario Edward Bernays, fondatore della disciplina, lo spin doctoring costituirà uno strumento fondamentale nell’esercizio del potere. Sarà una modalità per dare forma al caos, organizzando il mondo per poi guidarlo.
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