L’agroalimentare italiano è un settore che si contraddistingue per la qualità e l’eccellenza delle materie prime: siamo il primo Paese Europeo per numero di riconoscimenti DOP (Denominazione di Origine Protetta) IGP (Indicazione Geografica Protetta) e STG (Specialità Tradizionali Garantite): sono 319 i prodotti identificati al 21 novembre 2022, secondo i dati pubblicati dal Ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare.
Il patrimonio agroalimentare rappresenta uno dei punti di forza del nostro Paese e costituisce un importante comparto dell’economia: riveste, infatti, una notevole importanza sia in termini di fatturato che per numero di imprese e occupazione, e risulta tipicamente caratterizzato dalla predominanza, dal punto di vista numerico, di piccole e medie imprese.
Nonostante la dimensione, le aziende italiane hanno saputo affrontare la sfida dell’internazionalizzazione e del mercato globale con risultati brillanti, che si riverberano sul “Made in Italy” nel suo complesso.
Qualità, tradizione e sicurezza: tre parole chiave che rappresentano lo scenario competitivo del settore food: abbiamo voluto confrontarci sulla tematica con Michele Crippa gastronomo e docente dell’International Master in Food and Beverage Management alla Rome Business School che ci ha detto:
“Quando si parla di agroalimentare italiano dobbiamo, innanzitutto, contestualizzare il concetto di Brand del Bel Paese. Parliamo di quote di mercato legate a un paniere di prodotti tipici tra i quali si annoverano ad esempio il Parmigiano Reggiano, il Gorgonzola, il Prosciutto di Parma, l’Olio Extravergine di Oliva, l’Aceto Balsamico e tra i prodotti finali il Pesto e il Prosecco.
Bisogna, inoltre, contestualizzare le scelte dei grandi paesi (Stati Uniti, Canada, Brasile, Cina, Giappone, l’Australia, Regno Unito, Germania e Francia) che determinano le sorti del mercato. Per esempio, noi italiani siamo tra i più grandi player internazionali a livello di scambio dei prodotti dei pomodori pelati, in primis con le aziende Cirio e Mutti; il primo produttore e il primo esportatore di pasta con oltre il 50% della quota del mercato globale; il primo produttore di vino al mondo e il secondo esportatore dopo la Francia. Insomma, il Brand “Made in Italy” è sinonimo di ricercatezza ed unicità, derivate dalla tradizione, dall’esperienza e dal pregio delle materie prime, connessa alla garanzia di un prodotto generato da condizioni ambientali e produttive inimitabili.”
Il mondo dei media si è sempre interessato al cibo ed il numero delle trasmissioni televisive è cresciuto in maniera esponenziale, dando vita a numerosi format e fiction tematiche. Nel 2019, secondo i dati Auditel, sono stati 17 milioni, circa il 30% degli gli italiani, quelli che ogni mese hanno guardato almeno 2 ore di contenuti a tema food e sono prodotti oltre 70 programmi tv dedicati al cibo, suddivisi tra canali tematici, come Gambero Rosso Channel e Food Network, fruibili live o on demand attraverso piattaforme come Sky, Dplay, Netflix etc.
“I media rivestono una vera e propria influenza positiva verso l’educazione e la consapevolezza al cibo sano. Nelle ultime due decadi, con l’avvento dei grandi programmi televisivi monografici, uno fra tutti Masterchef, si è riaccesa all’interno dei focolai domestici una grande passione per la cucina soprattutto nelle giovani generazioni, che hanno dimostrato la volontà di intraprendere un percorso formativo professionalizzante, garantito oltre che dagli istituti enogastronomici – i vecchi istituti alberghieri – dalle scuole di alta formazione, dai più recenti ITS Academy per il Made in Italy e da una laurea in Scienze Gastronomiche. Oggi, anche nel settore enogastronomico, la formazione prevede un approccio manageriale che crea un circuito virtuoso per l’intero comparto.
Inoltre, è bene ricordare che già dagli anni ’90 a livello europeo, prima ancora della nascita dell’Unione, si discuteva delle prime legislazioni che avrebbero disciplinato i prodotti DOP e IGPe anche di quelli che sarebbero stati gli influssi dei media perché era forte il desiderio di iniziare a comunicare il cibo di qualità e l’importanza della sicurezza alimentare. Mi piace sottolineare ciò che ripeto ai miei studenti: è importante parlare di buona qualità dei prodotti e dei cibi e di una sana filiera. Infatti, per comprendere realmente il mondo del food si devono conoscere le materie prime, i processi produttivi, gli attori del comparto e la supply chain di riferimento.”
La tutela del prodotto enogastronomico italiano è un argomento di cui si discute ormai da diversi anni in dottrina, in giurisprudenza e in ambito governativo.
Tutelare il prodotto italiano vuol dire proteggerlo dal fenomeno della contraffazione, denominato Italian Sounding, nato con il fine di diffondere sul mercato beni stranieri, utilizzando nomi italianeggianti che imitano, anche grossolanamente, il prodotto alimentare di qualità “Made in Italy” compromettendone l’immagine e sottraendone mercato.
Il volume d’affari complessivo annuale delle frodi alimentari nel 2020, come sottolineato dal presidente di Coldiretti Ettore Prandini, è stato pari a 24,5 miliardi di euro. I prodotti italiani più imitati, sempre secondo la Coldiretti, sono i formaggi a partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano, che diventano Parmesao Brasiliano e Reggianito Argentino. Sugli scaffali sono proposte anche le imitazioni di Provolone, Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago e Fontina. Anche i salumi sono oggetto di contraffazione: dal Parma al San Daniele, dalla Mortadella di Bologna fino al Salame Cacciatore e soprattutto agli Oli Extravergine di Oliva.
Sotto questo punto di vista assume particolare importanza il ruolo dell’etichetta che narra al consumatore le caratteristiche del prodotto al quale ci si sta rivolgendo. A tal proposito con la legge n.12 dell’11 febbraio 2019 sulle semplificazioni, sono state approvate le nuove norme sull’obbligo di indicare proprio in etichetta l’origine di tutti gli alimenti presenti nei prodotti alimentari.
“Stiamo scrivendo un concetto di nuova sicurezza alimentare dopo la pandemia da Covid-19. Questo è uno degli aspetti più importanti degli ultimi anni: dobbiamo continuare a investire sulla sicurezza alimentare e sulla salute, quindi, garantire presenza di cibi sani prodotti in maniera sicura. Voglio ricordare che l’Italia è tra i paesi al mondo con i più alti standard di sicurezza, dove vengono garantiti numerosi controlli igienico sanitari in primo luogo dei produttori e delle Autorità Competenti. Esistono naturalmente delle Norme Europee e il nostro Paese ha un approccio molto attento e preventivo nella loro interpretazione e formulazione.”
I consumatori italiani dedicano particolare attenzione al carrello della spesa. Gran parte delle mode e trend alimentari recenti (veganismo, vegetararianismo e non ultimi climatarianismo e reducetarinesimo, considerati dai più, come le diete del futuro) hanno come protagonista il rispetto per gli animali, l’ambiente e più in generale la sostenibilità. Inoltre, la pandemia da covid 19 e lo scoppio della guerra in Ukraina, eventi che hanno comportato un mutamento socio-economico tra la popolazione, impongono lo sguardo del consumatore anche al rapporto qualità/prezzo.
“L’impatto della guerra in Ukraina ha inciso in maniera determinante relativamente ai consumi e a quelli che possono essere i nuovi trend di mercato e non mi stupisce che ci sia una sempre maggior ricerca di prezzi competitivi. Un punto chiave è anche rappresentato dall’accessibilità: nel corso di questi ultimi anni, molti produttori sono stati indotti ad essere più legati a nuove modalità di consegna diretta, fenomeno seguito anche dai supermercati che hanno sviluppato i programmi di drive through con prenotazione anche su Instagram. È interessante capire come si siano evolute anche a livello locale queste particolari nuove dimensioni di acquisto che prima ci immaginavamo legate unicamente alle grandi città. Non si parla più di “Kilometro Zero” bensì di “Kilometro Buono”, perché bisogna sempre indirizzare il consumatore verso prodotti di qualità. Non dobbiamo dimenticare che siamo figli e nipoti della globalizzazione: quando vogliamo gustare nuovi prodotti, accertiamoci sempre che questi siano buoni sia dal punto di vista di filiera produttiva e sia dell’aspetto etico e del patrimonio culturale di cui sono arricchiti.”
Con l’avvento dei social network ha avuto inizio l’era dell’Internet Food, la narrazione del cibo attraverso il potente strumento dello storytelling, capace di creare un legame emozionale tra aziende e consumatori.
Ma il food storytelling può e deve essere utilizzato per un coinvolgimento più profondo dei consumatori, che non sia unicamente legato alla memorabilità di un pasto al ristorante oggetto di post e stories sui social personali, ma per aumentare la consapevolezza della qualità dei prodotti, la loro tracciabilità e dei loro processi produttivi.
“Dobbiamo trasmettere nuovi valori legati al cibo, nuovi contenuti legati anche alla sostenibilità del prodotto dal punto di vista di produzione e di processo. Diventa allora fondamentale lo strumento dello storytelling per soddisfare quel bisogno crescente da parte dei consumatori che vogliono sapere davvero la provenienza dei prodotti da loro scelti. Viviamo una nuova dimensione, fortunatamente, di trasparenza relativamente alla produzione, al trasporto, al confezionamento, all’imballaggio e al tracciamento. Questi sono valori extra che i consumatori richiedono quotidianamente. La Nestlè, ad esempio, ha dichiarato che per la produzione dei KitKat entro il 2030 abbandonerà la plastica e tutte le confezioni verranno convertite in carta con un packaging disegnato per essere piegato e dare vita ad origami. Confezioni 100% riciclabile e compostabili con una funzionalità volta alla convivialità, ad un momento comune in famiglia e con amici, dopo quasi tre anni di isolamento a causa del Covid-19. Un messaggio potente che vira a 360°: attenzione all’ambiente per una maggiore consapevolezza nell’acquisto e uno sguardo alla socialità. Poi c’è lo storytelling legato alle nuove tecnologie, che contribuisce a creare la customer experience. Ad esempio, a Tokyo un ristorante permette all’avventore, appena varcato le porte del locale, di gustare un menu confezionato ad hoc, con il corretto bilanciamento dei principi nutritivi e nutrizionali, soltanto condividendo i dati del proprio cellulare attraverso sistemi di blockchain. Questo mi fa dire che il futuro è già tra noi, vigilando naturalmente quali dati personali condividere per motivi di sicurezza.”
“Tutta la sfida di oggi si gioca in quella prima dicotomia tra globale e locale, di “grande” e “piccolo”; quindi tra competenze in un settore come quello dell’agroalimentare, dove c’è bisogno anche “di mettere le mani a terra” o “in pasta” e di saper parlare ai contadini così come ai manager delle grandi aziende.
Le figure professionali più richieste sono quelle in grado di guardare all’interno di una sfera produttiva ma che sappiano anche lavorare a livello di management, di comunicazione, di marketing. L’enogastronomia è un’arte, una scienza e una tecnica che guarda al mondo del food nella sua interezza. Le competenze più richieste sono la flessibilità a ricoprire incarichi con posizioni diverse, la capacità di interfacciarsi con molteplici livelli e la volontà di formarsi in modo professionale per rafforzare il processo di internazionalizzazione delle piccole (ma aperte al mondo) imprese italiane.”
Michele Crippa è docente di storia e cultura della cucina, scienze gastronomiche e tecnologie alimentari, specializzato in comunicazione e marketing del patrimonio alimentare italiano.E’ consulente tecnico-economico per l’industria della cucina, della gastronomia, degli eventi come Lead Auditor sui sistemi di gestione per la qualità ISO e responsabile legale abilitato per il controllo della sicurezza alimentare.Si è formato in Scienze Gastronomiche presso l’Università di Pollenzo per poi frequentare il corso di Food Quality Management and Communication presso l’Università di Pisa. Consegue la laurea magistrale in Italian Food and Wine presso l’Università degli Studi di Padova.Ha lavorato come manager nell’ambito dei servizi alberghieri e della ristorazione e collaborato come docente incaricato presso i più importanti centri di formazione culinaria quali Alma, Gambero Rosso e Scuola Tessieri. E’ amministratore di Gastronomik, agenzia specializzata in servizi di networking gastronomico e consulenza per l’industria alimentare, nonché fondatore e trainer sensoriale di Neurochimica, studio medico specializzato nei disturbi di gusto e olfatto. Ha maturato esperienze nel campo televisivo collaborando con DRY Media e Endemol Shine Group nello sviluppo dei format “Street Food Battle” e “Masterchef”. Ad oggi è Direttore Didattico del corso “Food&Wine Management” di ITS Jobsfactory, Lecturer presso Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, Rome Business School, Pitzer College Institute e Professore di Scienze e Cultura dell’Alimentazione presso Collegi FACEC e Fondazione IKAROS.