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Scenari per la soluzione della crisi catalana

Il referendum catalano del 1° ottobre ha determinato diverse conseguenze che minacciano l’integrità della Spagna, uno dei paesi dell’Unione europea (UE) che sta finalmente rimettendosi in piedi dopo essere stato colpito dalla recente crisi economica.

Il presidente della regione, Carles Puigdemont, intende dichiarare la Catalogna uno stato sovrano motivando questa scelta sulle base delle differenze culturali, storiche, politiche e linguistiche. Inoltre, la Catalogna aveva sopportato con riluttanza gli oneri della crisi economica che ha recentemente colpito la Spagna e le relative implicazioni politiche.
Questa situazione è chiaramente illustrata dal fatto che la Catalogna è diventata la comunità autonoma spagnola con il debito più alto – 13,476 milioni di euro – dall’inizio della crisi finanziaria nel 2008; vi sono, tuttavia, ragionevoli aspettative per il recupero dalla crisi con la rapida ripresa economica e la crescita del PIL del 3,3% nel 2015.

La Catalogna è senza dubbio la maggiore potenza industriale della Spagna, soprattutto grazie allo sviluppo dei porti e alla capacità commerciale che la rendono la regione spagnola più ricca. Il potere della regione ha avuto un ruolo importante nel richiamo del presidente alla volontà della maggioranza dei cittadini (argomento con basi non troppo sostenibili) per l’indipendenza della Catalogna.

I motivi, tuttavia, non si fermano qui. La disputa politica tra il governo centrale spagnolo – dominato dal Partito del Popolo di Mariano Rajoy, conservatore – e il governo regionale della Catalogna – guidato da Carles Puigdemont del partito “Insieme per il Sì” e sostenuto dalla “Candidatura di Unità Popolare” (CUP) – sta creando molti problemi tra Madrid e Barcellona. Il timore che l’economia catalana possa essere di nuovo portata fuori rotta ha spinto i nazionalisti catalani a sostenere una dichiarazione unilaterale per l’indipendenza della provincia. La reazione iniziale del governo centrale spagnolo si è, in generale, basata sulla legge e sull’ordine costituzionale, anche se Rajoy, alla fine, è ricorso alle forze di polizia per bloccare l’accesso dei catalani ai seggi elettorali allargando ulteriormente la distanza tra le due parti.

Considerata la presenza di numerose minoranze o di gruppi portatori d’interessi particolari in molti paesi dell’Unione Europea, questa crisi è davvero cruciale e potrebbe innescare un effetto domino. Occorre, quindi, trovare una soluzione diplomatica con il contributo dell’UE per evitare le rivendicazioni di altri movimenti secessionisti in Europa.

Da un lato, l’Unione Europea deve agire nel pieno rispetto delle norme di cui all’articolo 4, paragrafo 2 del Trattato di Lisbona del 2009, in base alle quali: “L’Unione […] deve rispettare le funzioni essenziali di ogni stato membro, l’integrità dello stato, il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza nazionale”. Dette disposizioni indicano chiaramente che l’UE non deve e non può intervenire legalmente nelle questioni nazionali interne degli stati membri.

Dall’altro lato, lo Statuto dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea afferma con chiarezza “il divieto della tortura e di trattamenti punitivi inumani o degradanti” (articolo 4), sancendo l’illegalità e la punibilità delle azioni delle forze di polizia spagnole, specialmente con riferimento all’esercizio fondamentale del diritto di voto.

La situazione in Spagna e il ruolo futuro dell’UE possono proporsi secondo due scenari principali.

Scenario n. 1: Carles Puigdemont ignora la sentenza della corte costituzionale spagnola e procede tenendo conto del risultato del referendum (anche se l’affluenza è stata solo del 43% e pertanto l’esito è da considerare inefficace dato che i sostenitori dell’unità spagnola sono stati invitati a non votare), dichiarando unilateralmente la completa indipendenza della Catalogna.

In questo caso sono possibili 2 alternative:

  1. La Spagna non fa nulla per impedire la secessione della Catalogna. Lo shock per l’UE sarebbe ancora più grave di quello causato dalla Brexit, tuttavia ci sarebbe bisogno di contribuire a rendere la secessione più agevole e meno costosa possibile. E, naturalmente, l’UE dovrebbe andare oltre i criteri di Copenaghen per consentire l’adesione della Catalogna all’Europa se la regione dovesse chiederla, cosa che al momento è – auspicabilmente – non in discussione.
    Politicamente, le minoranze in altri Stati membri dell’UE potrebbero annunciare referendum per l’indipendenza minando alla base l’integrazione europea. Economicamente, la Spagna perderebbe l’elevato volume di reddito che la Catalogna attualmente porta al paese e, di conseguenza, si renderebbe necessario un nuovo sostegno finanziario dell’UE, proprio nel momento in cui l’Unione è impegnata in parecchi settori (ad esempio, aiuti umanitari, risposta al terrorismo, sicurezza informatica, ecc.).
  2. Mariano Rajoy applica l’articolo 155 della Costituzione spagnola del 1978 consentendo alle forze di polizia di intervenire e di assumere il controllo della Catalogna (o, come stabilisce la Costituzione: di qualsiasi “regione autonoma” che “non adempie agli obblighi imposti dalla Costituzione o altra legge o agisce in modo da pregiudicare gravemente l’interesse generale della Spagna”). Ciò potrebbe portare a un enorme aumento delle tensioni nel paese.

Scenario n. 2: Con la mediazione politica e rapida dell’UE le due parti patteggiano clausole reciprocamente vantaggiose. Ad esempio, un secondo referendum, da svolgersi con le necessarie condizioni giuridiche e di ordine pubblico, potrebbe fornire alle parti un’indicazione realistica della volontà dei cittadini. In alternativa, la soluzione dell’UE potrebbe essere dinamica con la possibile applicazione degli articoli 2 e 7 del trattato dell’Unione Europea, previsti per gli stati membri che non rispettano i presupposti di “istituzioni stabili che garantiscono la democrazia, le regole della legge, dei diritti umani e del rispetto e della protezione delle minoranze”. Quindi, se la Spagna dovesse non rispettare in qualche modo la volontà dei suoi cittadini, la Commissione europea potrebbe valutare una possibile procedura d’infrazione.

In ogni caso, è importante per l’Unione Europea prendere in considerazione quanto Alfonso Valero, docente presso il College of Business Law & Social Sciences della Facoltà di Legge dell’Università di Nottingham Trent, ha dichiarato: “Consentire la disintegrazione di un paese aumenterebbe le spinte nazionalistiche in altri paesi dimenticando che l’Europa è stata storicamente devastata dai nazionalismi”.


Symeon Christofyllidis

Master in Political Marketing