Martedì, 21 ottobre 2025. Il lusso italiano non conosce crisi, ma i dazi USA e la slowbalization ne rallentano la crescita. Nell’ultimo anno il comparto ha generato 54 miliardi di euro di ricavi, confermando l’Italia come cuore manifatturiero dell’alta gamma europea. Dall’occhialeria, che da sola pesa per il 49% del totale (26 mld €), alla moda e pelletteria (16 mld €), fino all’automotive di eccellenza (8 mld €, con Ferrari 6,7 mld €), il Made in Italy si conferma un marchio forte e desiderato nel mondo.
Ma dietro la solidità del mercato emergono nuove sfide: la slowbalization, i dazi statunitensi del 15% sui beni europei e l’avanzata del lusso circolare, che stanno cambiando gli equilibri di un settore in profonda trasformazione. Queste alcune delle analisi del report “Gli scenari nel mondo del lusso. Geopolitica e circolarità, le prospettive per il Made in Italy” a cura di Valerio Mancini, Direttore del Centro di Ricerca Divulgativo di Rome Business School, Francesco Baldi, Docente dell’International Master in Finance di Rome Business School, Massimiliano Parco, Economista, Centro Europa Ricerche.
L’Italia resta è leader del settore lusso nel mondo. Con oltre il 40% delle aziende manifatturiere europee del settore (Fondazione Altagamma, 2024), il Paese rappresenta un modello unico in cui artigianato, design e innovazione si fondono in un sistema di distretti produttivi che vanno dalla pelletteria toscana all’occhialeria veneta, dal tessile biellese alla nautica ligure.
Le prospettive restano solide: secondo Statista (2025), il mercato italiano del lusso crescerà a un ritmo medio del 4–6% l’anno fino al 2030, sostenuto dalla domanda globale e dalla capacità delle imprese di innovare.
Attualmente, il settore si mantiene stabile: dopo il record del 2023 (1.498 miliardi di dollari), il mercato si è assestato nel 2024 a 1.478 miliardi (–1,3%), in un contesto di maggiore incertezza macroeconomica. Le auto di lusso restano la prima voce con 579 miliardi di dollari (39%), seguite dai beni personali come moda, accessori, gioielli e profumi, con 363 miliardi (25%), e dall’ospitalità di alta gamma con 242 miliardi (16%), osserva Francesco Baldi.
In questo scenario, le aziende italiane restano protagoniste: 54 i miliardi di ricavi generati delle aziende a capitale italiano nel 2024, con marchi come Prada (5,4 mld €), Moncler (3,1 mld €), Armani (2,3 mld €) e Cucinelli (1,3 mld €) a trainare la crescita. Completano il quadro l’automotive di lusso, che sfiora gli 8 miliardi di euro, trainato da Ferrari (6,7 mld €), e la nautica, con 3 miliardi di euro, guidata da Azimut-Benetti (1,3 mld €) e Sanlorenzo (930 mln €).
Nel 2025 la leadership del settore resta saldamente nelle mani di LVMH, che nel primo semestre ha registrato 39,8 miliardi di euro di ricavi e 9 miliardi di utile operativo (margine 22,6%). Segue Hermès, regina di redditività con 8 miliardi di ricavi e un margine operativo del 41,4%, mentre Richemont consolida la propria posizione nella gioielleria di alta gamma con 21,4 miliardi di vendite e 4,5 miliardi di utile operativo (Richemont, 2025).
Più complesso il quadro per Kering, che nel primo semestre 2025 segna 7,6 miliardi di ricavi e un margine del 12,8%, frenato dalle difficoltà di Gucci, mentre Chanel chiude il 2024 con 18,7 miliardi di dollari di vendite e un margine del 24%.
Le aziende italiane, pur con dimensioni inferiori, si distinguono per solidità e redditività. Prada Group registra 2,74 miliardi di ricavi e un margine del 22,6%, Moncler raggiunge 1,23 miliardi (margine 18,3%) e Zegna Group 928 milioni (margine 7,4%).
Secondo Bain–Altagamma (2025), il mercato mondiale dei personal luxury goods si è attestato nel 2024 a 363 miliardi di euro (–2%), con una previsione di ulteriore lieve flessione nel 2025 (–2%/–5%). Si tratta però di un mercato polarizzato, dove i marchi più forti continuano a crescere grazie a desiderabilità, posizionamento e controllo dei margini.
Dopo due decenni di globalizzazione accelerata, la “slowbalization”, ossia un rallentamento degli scambi e una crescente regionalizzazione dei mercati, costringe i brand a ripensare strategie e catene del valore. La Cina, dopo un decennio di crescita, è oggi in contrazione con sei trimestri consecutivi di calo della spesa (McKinsey, 2025). Gli Stati Uniti, pur restando il primo mercato extra-UE per il Made in Italy con oltre 12 miliardi di euro di export nel 2024 (pari al 15% del totale moda e accessori), hanno introdotto dazi fino al 15% sui beni europei.
Per l’Italia, che esporta oltre il 70% della produzione di lusso, l’impatto è diretto. I dazi penalizzano non solo le grandi maison ma anche i distretti artigianali e le PMI che ne sostengono la filiera ed oltre il 75% della produzione, con 2 miliardi di euro di vendite negli USA (Federorafi, 2025).
“I dazi non colpiscono solo i brand, ma la spina dorsale del Made in Italy: un sistema di persone, competenze e territori,” osserva Mancini.
Le aziende reagiscono diversificando mercati e approvvigionamenti. La moda italiana, che nel 2024 ha registrato 70 miliardi di euro di export (ICE, 2025), guarda ora con crescente interesse a India, Vietnam e Arabia Saudita, nuovi poli del consumo di alta gamma. Allo stesso tempo, molte maison stanno adottando il modello “China + 1”, che prevede l’apertura di una seconda base produttiva alternativa alla Cina, e puntano sul near-shoring, riportando parte della produzione più vicino all’Europa per ridurre rischi e tempi di fornitura.
Nel 2025 il mercato globale del second hand ha raggiunto i 38 miliardi di dollari, con una crescita media annua stimata tra il 9% e il 10% fino al 2029 (Research & Markets, 2025). In soli cinque anni, il valore complessivo è destinato a superare i 60 miliardi di dollari, pari a circa il 15% del mercato dei beni personali di alta gamma.
Secondo le elaborazioni del report, il resale di lusso si concentra soprattutto in abbigliamento (35%), pelletteria e accessori (29%), orologeria e gioielleria (22%) e calzature (14%). La spinta arriva in particolare dai consumatori under 35, più attenti alla sostenibilità e alla tracciabilità dei prodotti.
In Cina, dove la spesa per beni di prima fascia è in calo da sei trimestri consecutivi, il mercato del second hand è cresciuto del 35%, mentre in Europa si stima che un acquisto su dieci di beni di lusso sia oggi di seconda mano. Sempre più maison introducono piattaforme di rivendita o programmi ufficiali come Rolex Certified Pre-Owned, integrando il riuso nei propri modelli di business.
Nel complesso, l’intero ecosistema dell’alta gamma italiano, che è integrato da oltre 80.000 imprese e dà lavoro a oltre 500.000 persone, è simbolo di una manifattura che unisce valore economico, storico, culturale e territoriale. Quindi, non si tratta soltanto di difendere quote di mercato o marginalità, ma di preservare un patrimonio identitario che rappresenta uno dei principali strumenti di soft power del Paese. Come conclude Valerio Mancini,
“Il Made in Italy possiede un vantaggio competitivo raro: la sua identità. È un capitale culturale che può guidare la transizione verso un lusso più consapevole, circolare e umano.”