Roma, 24 gennaio 2023. Rome Business School, istituto di formazione post-universitaria parte del network Formación y Universidades di De Agostini e Grupo Planeta, ha pubblicato la ricerca “Il Nation Branding: l’impatto dell’immagine di un Paese sull’economia”, a cura di Aldo Pigoli, esperto di geopolitica e intelligence competitiva, e Valerio Mancini, direttore del Centro di Ricerca di Rome Business School. Lo studio mette in luce come è percepita oggi l’Italia: una nazione che esporta lusso, gastronomia e cultura, ma non un posto dove investire, fare impresa e crescere.
In un mondo caratterizzato da globalità, interconnessione e una maggiore visibilità dei fenomeni sociali, economici e politici, l’immagine di un Paese determina fortemente il suo potere di influenza rispetto il resto del mondo. Qui entrano in gioco le strategie di marketing che mirano a fare del Paese un brand riconoscibile, rispettato e ammirato dalla comunità internazionale.
Oggi l’Italia si posiziona al 4º posto dell’Anholt-Ipsos Nation Brands Index, indice che ogni anno analizza la brand image di 60 paesi in sei diverse categorie: turismo, esportazioni, governance, investimenti e immigrazione, patrimonio culturale e capitale umano. Nonostante l’ottimo posizionamento, l’eccesiva burocrazia e le difficoltà per avviare un’attività economica, allontanano gli investitori. Potrà il neo-trasformato “Ministero delle Imprese e del Made in Italy” rilanciare la reputazione dell’Italia e rendere il paese più attraente?
Uno dei principali indicatori utilizzati per valutare il grado di apertura e affidabilità dei sistemi economici internazionali è il “Ease of Doing Business Index” della Banca Mondiale. Tale indice misura la facilità dell’apertura e dello sviluppo di un’attività d’impresa valutando, tra gli altri, l’accesso al credito, il versamento delle imposte e gli aspetti doganali. Ai primi posti si posizionano Nuova Zelanda, Singapore e Hong Kong (2022), l’Italia è al 58º posto nel 2022.
In particolare, nell’indicatore “Starting a Business”, che tiene conto di tempi e costi per avviare un’attività economica, l’Italia occupa il 98º posto. Simile è il posizionamento per quanto concerne la burocrazia riguardante i permessi di costruire (97º posto), mentre per la voce riguardante l’accesso al credito, l’Italia è relegata addirittura al 119º posto. Di portata completamente opposta, l’Italia è 1 sui 190 paesi analizzati per facilità di gestire gli aspetti doganali.
Studiando invece l’“Index of Economic Freedom” della Heritage Foundation – che analizza in 184 paesi specifiche categorie di attività o fattori che hanno un impatto significativo per lo sviluppo delle attività imprenditoriali, come lo stato di diritto, il governo e la efficienza normativa – in ambito europeo l’Italia occupa addirittura il 33º posto sui 45 paesi analizzati. In cima alla classifica: Singapore, Svizzera e Irlanda, 57º l’Italia.
Un altro indice da considerare quando si analizza l’immagine di un paese a livello internazionale, è il contributo che il paese da al mondo e della società. A farlo è il Good Country Index, che censisce 169 paesi in base all’impatto sociale che hanno, e colloca l’Italia alla 24º posizione: 5º posto tra i paesi G7, con risultati migliori rispetto al Giappone (34º) ed agli USA (44º). Il posizionamento è migliore nelle voci Salute e Benessere (21º) e Prosperità e Uguaglianza (16º), ma siamo in posizioni arretrate nelle voci Pace e Sicurezza Internazionali (64º) e Pianeta e Clima (56º).
L’Italia rientra anche tra i primi paesi nel “Global Soft Power Index 2022” di Brand Finance, dove vengono analizzati 120 nazioni. Siamo all’ultimo posto tra i Paesi G7 (10º): i ranking più bassi sono nelle categorie “Istruzione e Scienza” (23º) e “Governance” (22º), e quelli più alti sono “Culture & Heritage” (2º) e “People & Values” (4º). In più, il Best Countries Report 2022 (US News, BAV Group e University of Pennsylvania) mette l’Italia al 14º posto su una classifica di 85 Paesi (salita di 2 posti rispetto l’anno precedente). L’Italia ricoprirebbe il 1º posto sia per influenza culturale, sia per prestigio e il 2º posto per attrattività turistica.
Ci sono altri indici importanti che analizzano l’economia dei paesi. Il Global Attractiveness Index (GAI), sviluppato da Ambrosetti – The European House, mette a confronto 148 economie a livello globale e trova ai primi posti la Germania (100 punti), gli Stati Uniti (99.9 punti) e Hong Kong (87.6). Al 19º posto c’è l’Italia con un punteggio di 56.1. Va notato il distacco significativo in termini di punteggio, rispetto ai paesi con i quali l’Italia si deve maggiormente confrontare da un punto di vista di processi di internazionalizzazione e sviluppo di relazioni commerciali: il punteggio italiano è leggermente superiore a quello della Spagna ma significativamente inferiore a quello della Francia (70.0) e, soprattutto della Germania, verso la quale il distacco è quasi doppio (100.0).
Passando invece alla valutazione del brand nazionale, Brand Finance Nation Brands pone l’Italia al 9º posto (2021). Nel 2022, il valore del brand Italia è stimato circa di 1.819 miliardi di euro (+8,6% rispetto al 2021, superando i livelli del 2019). Dalla loro analisi si rileva che vi sono alcune imprese italiane molto abili nello sfruttare l’immagine italiana e altre che beneficiano meno dell’immagine paese: ad eccezione di settori specifici come lusso, moda, design e food, il Made in Italy sembra avere un’immagine meno forte del Made in Germania, in Usa e in Francia.
La debolezza del brand Italia dipenderebbe principalmente dalla difficoltà di fare business, troppa burocrazia e carenze in termini di sistema giudiziario, dalla gestione della cosa pubblica e dalla qualità della comunicazione di privati e imprese. Se da un lato l’Italia ha molteplici brand che comunicano qualità, internazionalizzazione, artigianalità e tradizione, dall’altra ci sono altrettante realtà aziendali arretrate dal punto di vista digitale e manageriale.
Per Aldo Pigoli, tra gli autori della ricerca, “l’eccessiva dipendenza dalle classiche ‘3 F’, ossia Food, Fashion e Forniture, ha portato a far prevalere, sia a livello interno, che internazionale, un’immagine di paese poco competitivo, scarsamente appetibile e, addirittura, impantanato nel proprio passato e incapace di evolversi ed innovarsi”.
I principali brand italiani vengono percepiti come garanzia di qualità, autenticità e stile (Kantar, 2022), ma non sono tra i più prestigiosi al mondo. Il report di Brand Finance, volto a valutare i marchi con maggior valore al mondo, rivela che i brand con più valore nel 2022 sono Apple, Amazon e Google. Il primo marchio italiano è Gucci, alla posizione numero 108, poi ci sono Enel (144) ed Eni (193). Mettendo insieme tutti i marchi monitorati da Brand Finance, l’Italia non rientra neppure tra le prime nove nazioni al mondo per valore complessivo.
Malgrado il clima di incertezza economica e politica, i brand italiani più importanti continuano a crescere. I 30 marchi italiani più preziosi nel 2022 hanno generato, secondo l’analisi di KANTAR, un valore combinato di circa 128,7 miliardi di dollari. Nonostante i cambiamenti sistemici nel comportamento dei consumatori, un calo dell’8,9% del PIL del paese e gravi interruzioni nelle catene di approvvigionamento, viaggi, vendita al dettaglio e ospitalità, questi brand sono riusciti non solo a sopravvivere, ma a prosperare (+12% rispetto al 2021).
La Top 30 dei migliori brand italiani secondo di Kantar raccoglie una grande varietà settoriale: fashion, food & beverages, telecomunicazioni, automotive e energia. Le aziende miglior posizionate sono Gucci, Enel e Kinder. La categoria più performante è il lusso con 7 brand che rappresentano il 42% del valore totale (48 miliardi di dollari, +16% su base annua): Gucci (33,8 mld di dollari), Prada (3,9 mld) e Fendi (3,1 mld).
D’altro canto, l’agroalimentare italiano continua a rappresentare un settore portante dell’economia italiana ed è un pilastro fondamentale del brand nazionale. In tale contesto, sono particolarmente interessanti le performance regionali in ambito di Indicazioni Geografiche. L’Italia ha il primato mondiale per numero di prodotti certificati con 841 DOP, IGP, STG che hanno un valore rappresentativo del 19% del fatturato totale dell’agroalimentare italiano. Queste costituiscono anche un solido traino per l’economia e l’export italiano con un circa 9,5 miliardi di euro di entrate, pari al 20% delle esportazioni nazionali del settore nel 2020 (Sostenibilità e responsabilità sociale d’impresa in Italia, Rome Business School Research Center, 2022).
L’Italia sta cercando di recuperare spazio e tempo perduti rispetto ai vari attori che, sul piano internazionale, si sono già da anni attivati per migliorare la propria competitività.
“Ma ogni pratica di marketing di un paese è vana se non è accompagnata da altri elementi, come una politica interna all’avanguardia, da un certo appeal turistico della nazione o da un settore industriale e commerciale ben sviluppato”, afferma Valerio Mancini, uno degli autori della ricerca.
Servono quindi azioni concrete per arginare alcune criticità che minano l’efficienza e l’immagine del brand Italia all’estero: corruzione, evasione, basso livello di alfabetizzazione digitale, eccessiva burocratizzazione, lentezza della giustizia. Nello specifico, tra le raccomandazioni del Global Attractiveness Index Advisory Board: attuare al più presto una riforma del sistema dell’istruzione e di professionalizzazione; una riduzione del carico fiscale sulle retribuzioni; e un intervento sulla burocrazia volto a ridurre i tempi di autorizzazione di progetti ed investimenti rivolti alla transizione ecologica.
Anche se al Made in Italy sono associate percezioni positive di qualità, esclusività, ricercatezza, e in generale l’Italia viene percepita come esportatrice di uno stile di vita, secondo Valerio Mancini “manca una programmazione seria di una strategia di branding che si riferisca alla nazione tout court e non solo ai suoi prodotti industriali, al turismo, o alla cultura, che godono di per sé stessi di un’eccellente reputazione fuori dai confini nazionali”.
Aldo Pigoli afferma che “per lungo tempo vi è stato un deficit di strategia organica, coordinata e unitaria, atta a permettere all’Italia di essere percepita ancora più favorevolmente nel contesto internazionale. Nell’ultimo decennio Il Sistema Paese italiano, a partire dalle sue istituzioni, ha preso consapevolezza circa la rilevanza di definire, rafforzare e tutelare il brand nazionale nello scenario internazionale. Questa strategia va continuata e accompagnata da un’attività di market intelligence, utile al monitoraggio dei progressi ottenuti dal nation branding per l’Italia nei mercati esteri”.