In cima alla classifica delle principali economie europee, il debito pubblico dell’Italia stimato per il 2023 è, in rapporto al PIL, pari al 139,8%, molto più elevato rispetto quello di Francia (109,6%), Spagna (107,5%) e Germania (64,8%), salirà al 140,6% nel 2024 fino a raggiungere il 140,9% nel 2025. I maggior detentori di debito pubblico italiano rimarranno le istituzioni finanziarie e resto del mondo, ma continuerà ad aumentare la quota detenuta da “famiglie e istituzioni no profit”.
Questo quanto emerge dal report “Il debito pubblico in Italia: analisi e prospettive” di Rome Business School (RBS), a cura di Francesco Baldi, Docente dell’International Master in Finance di Rome Business School; Massimiliano Parco, Economista, Centro Europa Ricerche e Valerio Mancini, Direttore del Centro di Ricerca Divulgativo di Rome Business School.
Per i criteri di Maastricht, il rapporto tra debito pubblico lordo e PIL non deve superare il 60% o almeno dare segnali di riduzione, ma la previsione della Commissione Europea stima la media nell’area euro a chiusura del 2023 al 90,4%. Dai 97,2 del 2020 ai 90,9 del 2022 la Commissione Europea ha riscontrato una riduzione del deficit/PIL dell’Area euro, prevedendo un’ulteriore riduzione al -2,1% nel 2025, indicando come per terza maggiore riduzione tra i principali Paesi dell’aerea quella dell’Italia al -2,5%, dopo Francia (-3,6%) e Spagna (-3,3).
Secondo i dati elaborati da Massimiliano Parco, economista Centro Europa Ricerche, a metà novembre 2023 il prezzo delle materie prime è aumentato del 47,7% rispetto il 2019, prima dello shock pandemico. È rimasto più robusto l’incremento del prezzo dei beni energetici (+55,4% rispetto al 2019) e quello di alimenti e bevande (+53,6%), mentre gli input industriali segnalano incrementi del 23,6%. Francesco Baldi, nota che “l’incremento dei prezzi registrato dalle materie prime ed assorbito dalle imprese si è riversato totalmente sui prezzi al consumo”, portando così ad un incremento del tasso d’inflazione a livello globale. Nell’Area euro, ad eccezione della Francia, le principali economie (Germania, Italia e Spagna) hanno registrato tassi d’inflazione superiori al 10% nel periodo giugno 2022-marzo 2023. A novembre 2023, il tasso d’inflazione è arrivato al 3,9% in Francia, al 3,3% in Spagna e ad un ridotto 0,6% in Italia.
Per l’indice Markit PMI di Standard & Poor’s (indicatore mensile di fiducia sulle condizioni economiche reali di un Paese, dove un valore superiore a 50 è sintomo di un’economia in espansione e un valore inferiore segnala una contrazione produttiva del Paese) tra le principali economie dell’Area euro, ad ottobre 2023, solamente l’economia spagnola (Markit: 50) è apparsa in una fase di stasi, a differenza degli altri Paesi che evidenziano contrazioni del ciclo fin dal mese di giugno 2023. La flessione più intensa, attualmente, si manifesta in Francia, con un valore Markit pari a 44,6 punti, lievemente inferiore a quello registrato in Germania (45,9 punti) e in Italia (47).
Anche le previsioni della Commissione europea sul PIL evidenziano un rallentamento pressoché omogeneo tra le principali economie dell’Area euro: per il biennio 2024-2025 la produzione in valore dell’Area euro è prevista incrementarsi rispettivamente del +1,2% e +1,6%, similmente a quanto è previsto accadrà in Francia (+1,2% e +1,4%). Le stime per l’Italia (+0,9% e +1,2%) si collocano quasi in linea con quelle della Germania (+0,8% e +1,2%). Le stime del PIL della Spagna, invece, non dovrebbero scendere sotto l’1,5%: +1,7% nel 2024, +2% nel 2025.
Elaborando i dati della Banca d’Italia, gli autori hanno osservato un discreto grado di eterogeneità tra le Amministrazioni regionali italiane nel 2022. Il Lazio è individuato quale maglia nera d’Italia, con una consistenza del debito pubblico lordo pari a 28,3 miliardi di euro (il 24,3% del debito pubblico delle Amministrazioni regionali). Elevati livelli di indebitamento si registrano anche in Campania con 15,6 miliardi di euro (il 13,4% dell’aggregato delle regioni) e in Sicilia, Lombardia e Piemonte dove il livello di debito è poco superiore ai 10 miliardi. Le regioni che al contrario si caratterizzano per esigui livelli di indebitamento sono la Valle d’Aosta, il Molise e la Basilicata con un debito pubblico lordo complessivo inferiore ad 1 miliardo di euro.
Tale configurazione è il risultato di una dinamica poco omogenea verificatasi negli ultimi 25 anni. Dal 1998 al 2022, diverse regioni hanno registrato un progressivo indebitamento. Di particolare rilievo l’aumento cumulato registrato dalla Campania (+347%, tra il 1998 e il 2022), dal Lazio (+270%), dalla Calabria (+241%) e dalla Sicilia (+185%). Di contro, regioni come il Friuli-Venezia Giulia (-16%), l’Emilia-Romagna (-19%) e la Sardegna (-39%) hanno registrato riduzioni del debito a doppia cifra, quale conseguenza di un risanamento dei conti pubblici regionali.
“In uno scenario di maggior indebitamento a livello regionale, spicca il risanamento dei conti pubblici operato da FVG, Emilia-Romagna e Sardegna, in virtù di scelte di spesa a favore di una maggior sostenibilità del debito”, afferma Massimiliano Parco.
I dati della Banca d’Italia evidenziano ad agosto 2023 una netta concentrazione di titoli di debito a medio-lungo termine, pari al 79,3%. Rispetto a gennaio 2002, l’incremento dei titoli a medio-lungo termine è stato superiore a 7 punti percentuali (72,4% a gennaio 2002). Invece, l’esposizione su titoli a breve termine si è ridotta passando dall’8,5% di gennaio 2002 al 4,3% di agosto 2023. Le monete e i depositi bancari pesano per il 7% ad agosto 2023, in calo di 6,5 p.p. rispetto a gennaio 2002. Aumenta, di contro, il peso dei prestiti di banche e fondi che passa dal 4,6% al 5,2%, e l’incidenza dei prestiti con le Istituzioni europee è pari al 2,3%.
“Negli ultimi anni 20 anni la strategia del Tesoro italiano è stata quella di spostare le emissioni di debito dal breve al medio-lungo termine, aumentando di due anni la sua vita media residua, oggi pari a 7,7 anni”, afferma Francesco Baldi.
Le previsioni della Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF) 2023 stimano un ritorno nel 2025 ad un avanzo primario, seppur limitato (+0,7% avanzo primario in % del PIL). Ciò dovrebbe favorire un rallentamento della crescita del rapporto debito pubblico/PIL. La componente residuale relativa agli aggiustamenti tra le consistenze e i flussi è stimata contribuire in maniera sfavorevole per il triennio 2023-2025.
“La crescita economica, accompagnata da un’inflazione controllata, rappresenta il miglior mezzo per contrastare un debito elevato, a condizione che questa crescita non porti ad un aumento incontrollato delle spese pubbliche, generando bilanci fortemente passivi”, afferma Valerio Mancini. Le possibili soluzioni a questa sfida comprendono diverse strategie, che devono necessariamente basarsi su due pilastri: riforme strutturali, per ridurre la spesa pubblica e controllare il deficit; e la gestione dell’inflazione.
Nei prossimi anni, si prevede un aumento dell’indebitamento netto e una crescita economica graduale, accompagnati da obiettivi di riduzione del deficit e del debito pubblico, e che la disparità Nord/Sud, con regioni settentrionali che hanno un debito/PIL inferiore rispetto al Mezzogiorno, vivrà ulteriori tensioni.