In Italia cresce sia il numero di donne in posizioni di leadership che il tasso di occupazione femminile, quest’ultimo a un tasso maggiore rispetto a quello maschile. Italia e UE però continuano a percorrere il sentiero per raggiungere la parità di genere a due ritmi differenti. Questo quanto emerge dal report di Rome Business School “Gender Gap e lavoro in Italia” a cura di Francesco Baldi, Docente dell’International Master in Finance di Rome Business School, Massimiliano Parco, Economista, Centro Europa Ricerche e Valerio Mancini, Direttore del Centro di Ricerca Divulgativo di Rome Business School.
In Italia, nel 2023, le donne ai vertici aziendali (ruolo di CEO) sono salite al 24% (dal 20% del 2022), così come quelle con ruoli nel senior management (34% rispetto al 30% dell’anno precedente). Anche nel mondo, rispetto al 2022, si registra un aumento del numero di donne in posizione di senior leadership (32,4%, con uno 0,5% in più), di CEO donne, ora al 28%, di CFO donne (38%) e di COO donne (25%). In continuità con questa tendenza, le posizioni di senior management occupate da donne arriveranno al 34% nel 2025 e al 36,5% nel 2030.
Nonostante le donne rappresentino il 41,9% della forza lavoro globale, nel 2023, secondo dati LinkedIn, la presenza femminile in posizioni di leadership, come ruoli C-Suite, direttrici o vicepresidenti, è del 32,3%, con un divario di quasi 10 punti percentuali rispetto agli uomini. Singapore e Filippine (49%) e Sud Africa (41%) sono le nazioni con la maggiore presenza femminile ai vertici. Per quanto riguarda i settori, quelli dell’Oil & Gas (39%), dell’Healthcare (38%) e dei Servizi Finanziari (38%) sono quelli con il maggior numero di donne in posizioni di leadership, mentre Utilities (25%), Trasporti e Real estate (29%) presentano la percentuale più bassa.
L’Italia è passata da un tasso di occupazione femminile del 46,2% nel 2009 ad un tasso del 52,2% nel 2023, con un aumento di 6,1 punti percentuali (EUROSTAT). Negli anni 2009-2023 il tasso di occupazione maschile è cresciuto solo del 2,5%. L’Unione Europea e l’Italia viaggiano però a velocità ben diverse; nello stesso periodo infatti l’UE ha aumentato la sua quota di occupazione femminile di ben 9 punti percentuali, dal 56,7% del 2009 al 65,7% del 2023.
“Una crescita più lenta in termini di PIL dell’Italia rispetto alla media UE è uno tra i fattori di rallentamento e di ostacolo nella creazione di nuovi posti di lavoro sia per gli uomini che per le donne. Segnali incoraggianti sono, tuttavia, rilevati dalla maggiore velocità di crescita registrata dal tasso di occupazione femminile rispetto a quello maschile, aumentato del 15,1% nel periodo 2004-2023”, afferma Francesco Baldi, tra gli autori.
In Italia, nel 2009 il tasso di occupazione maschile era pari al 67,8% e diventa nel 2023 (media dei primi tre trimestri del 2023) pari al 70,3%. Dunque, in Italia, tra il 2009 e il 2023, l’aumento del tasso di occupazione è stato di 2,5 punti percentuali per gli uomini e di 6,1 punti percentuali per le donne.
Secondo Massimiliano Parco, “La convergenza verso la parità di genere richiederà nei prossimi anni un impegno comune e responsabile che dovrà coinvolgere tutta la popolazione, in particolar modo il genere maschile che per troppi anni è stato avvezzo a preservare il proprio ruolo nella società, escludendo o limitando la diretta partecipazione della donna”.
Prendendo in considerazione invece i dati 2004 in paragone al terzo trimestre del 2023, l’occupazione maschile si attestava al 70,9%, in aumento rispetto al 2004 di 1,9 punti. Seppur ancora distante, nello stesso periodo, il tasso di occupazione femminile è passato da un modesto 45,4% nel 2004 al 52,2% nel terzo trimestre del 2023. Un dato sicuramente positivo ma che rimane allarmante, particolarmente se paragonato alle altre potenze europee.
Le analisi mostrano che in Italia i lavoratori di genere maschile sono meno istruiti rispetto alle donne. In Italia seconda dati ISTAT, nel 2021, le donne laureate sono pari al 57,2%, interessante notare che le regioni della costa adriatico-ionica, oltre alla Sardegna, presentino in media percentuali di laureate donne maggiori rispetto alle altre regioni: Abruzzo (61,8%), Sicilia (61,7%), Basilicata e Puglia (61,5%), Molise (61,4%) e Marche (61,2%).
Uno degli ambiti in cui il divario di genere è più evidente rimane il gender pay gap, ossia le disparità salariali. Il divario salariale tra uomini e donne in Italia non si è modificato di molto negli ultimi anni.
“La finanza e le professioni STEM sono i settori nei quali si evidenziano i gap salariali maggiori a favore degli uomini, con una retribuzione oraria per i dipendenti maschili superiore ai 2 euro all’ora che arriva a 5 euro nei servizi finanziari” afferma Francesco Baldi.
A livello globale, la presenza femminile nelle start-up è ancora limitata, con una media del 5% (Commissione UE, 2023). Anche in Italia, nonostante le opportunità di finanziamento e obiettivi specifici del PNRR, le start-up a prevalenza femminile sono cresciute poco, passando solo dal 13,17% al 13,71% dal 2021 al 2023.
Nell’imprenditoria è l’e-commerce ad emergere come il vero motore di crescita per le aziende al femminile italiane, con il 26,8% delle imprese femminili attive in questo settore. Nonostante l’aumento di donne nelle facoltà scientifiche, solo il 30% delle occupazioni in ambiti STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e informatica) è rappresentato da donne (dati WEF 2023), mentre nelle professioni non STEM la percentuale di donne occupate è del 49,3%.
Secondo dati World Economic Forum (2023) l’inclusione delle donne nelle aziende può aumentare il PIL mondiale fino al 35%. Guardando all’economia UE, ridurre il gender gap potrebbe portare a una crescita del PIL pro capite dell’Unione Europea dal 6,1% al 9,6% entro il 2050 (Istituto Europeo per la parità di genere). Boston Consulting Group evidenzia che nel 2022 le aziende con almeno il 30% di dirigenti donne hanno registrato un aumento del 15% della redditività, e specifica che le aziende con almeno tre dirigenti donne hanno un aumento mediano del ROE superiore di 11 punti percentuali in cinque anni rispetto a quello delle aziende senza dirigenti donne. Secondo Valerio Mancini:
“È tempo che le aziende cambino passo, concretamente, rispetto al tema del gender gap. Non si tratta soltanto di un tema legato all’eguaglianza negata, sono innumerevoli gli studi di settore che testimoniano come l’inclusione e le pari opportunità̀ delle donne aumentino il benessere e la produttività̀ aziendale. La gender equality rappresenta un aspetto a cui nessuna impresa dovrebbe rinunciare, non solo da un punto di vista etico ma anche di business”.