In Italia una donna su due non lavora, guadagna un euro in meno rispetto un uomo e ricopre solo il 32% delle posizioni di comando. Anche se oggi per la prima volta nella nostra storia c’è una donna come presidente del consiglio, della Cassazione e alla guida di partiti storici come il Pd, l’Italia è ancora molto indietro rispetto agli altri Paesi europei per l’occupabilità femminile (50,2% vs una media europea del 62,7%).
Ecco cosa emerge dalla ricerca di Rome Business School, “Gender gap, diversità e inclusione nel lavoro in Italia e nel mondo. L’esperienza di Medici Senza Frontiere” sviluppata da Maria Luisa Garofalo, Talent Acquisition & Development Coordinator Medici Senza Frontiere Italia e Valerio Mancini, Direttore del Centro di Ricerca di RBS.
I ricercatori hanno analizzato come in Italia ci siano più le donne laureate (58,7%) rispetto al 41,3% degli uomini, ma che una volta entrate nel mercato del lavoro, lo svolgono in maggior misura la modalità part time: 49% contro il 26,2% maschile (Inapp, 2022), dimostrando ancora le difficoltà che affrontano: stereotipi, discriminazione e la difficoltà di conciliare vita lavorativa e personale, in particolare dopo l’esperienza del covid-19.
Infatti, è stato proprio il covid a rivoluzionare completamente il mondo del lavoro odierno: continua a crescere il lavoro da remoto e l’uso dell’intelligenza artificiale nell’automazione. Per sviluppare questa tecnologia serve tanta ricerca, in particolare nelle materie scientifiche e tecnologiche. In Italia il 24,9% dei laureati (tra i 25 e i 34 anni) ha un titolo di studi in STEM, ma il divario di genere è molto marcato: la quota sale al 36,8% tra gli uomini (oltre un laureato su tre) e scende al 17% tra le donne (una laureata su sei). Allarmanti quindi anche i dati riguardo le professioni digitali più richieste del 2022, che includono robotics engineer, data scientist e cloud architect, ma nel nostro Paese solo il 12% dei professionisti in cloud computing sono donne, e rappresentano il 15% dei data analysts e il 26% dei professionisti in intelligenza artificiale (Rome Business School, ER 2022).
Secondo l’Osservatorio E-Work (2018), le lavoratrici italiane hanno uno stipendio mediamente inferiore del 27,8% rispetto a quello dei colleghi maschi, con una retribuzione oraria di 15,2 euro rispetto i 16,2 euro per gli uomini (Istat, 2022). Inoltre, nel Mezzogiorno, è occupato solo un terzo delle donne tra i 15 e i 64 anni e il World Economic Forum (2021) mette l’Italia al terzo posto, solo dopo la Grecia e la Costa Rica, nella classifica della disoccupazione delle giovani donne.
Dare più opportunità alle donne per lavorare non solo supporta la loro emancipazione ma colpisce fortemente anche l’economia mondiale. Sono molteplici le istituzioni ad affermarlo: per l’Harvard Business Review (2022) un equilibrio di genere permetterebbe di raggiungere 28 mila miliardi di dollari del Pil mondiale entro il 2025; per l’European Institute for Gender Equality (2022) una maggiore attenzione alla parità di genere potrebbe un incremento, a livello globale, di 10 milioni di nuovi posti di lavoro una crescita economica più sostenibile stimata al 75%; secondo l’Istituto Europeo per la parità di genere, una maggiore gender equality porterebbe entro il 2050 a un aumento del PIL pro capite dell’Unione Europea dal 6,1% al 9,6%; e il Fondo Monetario Internazionale aggiunge che avvalersi delle donne nelle posizioni strategiche permetterebbe all’economia di crescere del 35% a livello globale.
L’Italia cresce in numero di donne ai vertici: lo scorso anno le posizioni di CEO occupate dalle donne sono aumentate dal 18% al 20% (Women in Business 2022), anche se c’è stata una decrescita a livello globale di CEO donne (-2%). Tuttavia, il divario rimane alto: il nostro Paese si colloca al 63º posto del Global Gender Gap Report 2021 del World Economic Forum, dove ai primi posti ci sono Islanda, Finlandia e Norvegia, con un pay gap che si attesta intorno al 5,6%.
In Italia, Medici Senza Frontiere si è data obiettivi specifici in temi EDI: sviluppare una cultura più inclusiva e consapevole; definire e applicare policies e procedure volte alla prevenzione di discriminazioni o ingiustizie; e aumentare ulteriormente la diversità etnico-culturale a tutti i livelli dell’organizzazione, puntando soprattutto su formazione, condivisione, mobilità. Oggi, MSF Italia presenta un Management Team composto per oltre il 50% da figure femminili, e alla sua guida, come presidente, c’è la dr.ssa Monica Minardi.
Le donne sono le protagoniste del Terzo Settore in Italia: a fronte di circa novanta mila uomini, sono circa duecento mila. MSF riconosce il loro essenziale contributo soprattutto nelle missioni, in particolare nei paesi in cui MSF non potrebbe lavorare se non attraverso l’impiego di personale femminile.
“Sono una risorsa irrinunciabile senza la quale l’Organizzazione non potrebbe arrivare ad alcune tipologie di pazienti, tra cui donne e bambini. Le prospettive e le esperienze che le donne portano con sé sono preziose per affrontare le sfide complesse che si presentano in contesti di guerra, crisi o calamità naturali”, afferma Maria Luisa Garofalo.
Un esempio di come il coinvolgimento delle donne sia cruciale per MSF è il loro lavoro in Afghanistan, dove per motivi di tipo culturale e religioso è difficilissimo consentire il rapporto medico-paziente tra individui di sesso differente. Nelle sue 7 progetti in territorio afghano, MSF fornisce assistenza sanitaria coprendo ambiti che vanno dalla ginecologia, alla pediatria, emergenza e vaccinazione, impiegando un team medico composto al 51% da donne. La loro presenza è essenziale perché, in particolare dal ritorno al potere dei talebani, le afghane sono obbligate ad essere curate solo da altre donne. L’assenza di personale femminile nella team di MSF lascerebbe le donne completamente escluse dall’accesso alle cure offerte dall’Organizzazione.
Non solo, l’attuale obbligo per le donne afgane ad uscire accompagnate da un parente maschio che le scorti limita la loro possibilità di raggiungere un ospedale quando nessun parente maschio è disponibile ad accompagnarle, o quando un viaggio, già difficile da sostenere per una persona sola, diventa inaccessibile da sostenere economicamente. A tutto questo si aggiunge il divieto che impedisce le ragazze di frequentare la scuola superiore e l’università, di partecipare alla vita sociale e lavorare con le ONG, lasciando le donne afghane sempre più isolate e vulnerabili.
Gli autori affermano che “bisogna attuare politiche di sostengo alla leadership femminile, parità retributiva, flessibilità lavorativa, sostegno alla maternità, smartworking, garantire il work-life balance e coinvolgerle attivamente nei processi decisionali senza discriminazione né segregazione”, facendo uso in primis dei 40 milioni stanziati dal PNRR per l’occupazione femminile. Serve “dare spazio alle donne nei vertici dei business, colmare il divario delle assunzioni nelle nuove professioni emergenti e sviluppare una strategia da parte delle aziende mirata all’inclusione e supportata da piani d’azione specifici che mettano al centro le donne, valorizzandone la professionalità e garantendone la parità di trattamento sia nella carriera che nell’ambito salariale”, concludono.
Inoltre, è evidente da quanto riportato con l’esperienza di Medici Senza Frontiere come i temi EDI siano di interesse e applicazione globale, ma come tuttavia assumano accezioni e caratterizzazioni diverse a seconda dei contesti. Il loro lavoro dimostra come il sostegno e l’inclusione delle donne nel terzo settore sia fondamentale per garantire un’efficacia della risposta umanitaria stessa. “Le donne apportano competenze e prospettive uniche e sono spesso le uniche a poter svolgere determinati ruoli”, afferma Maria Luisa Garofalo di MSF.
“C’è una grossa necessità di lavorare per eliminare la discriminazione e la violenza di genere, promuovere l’istruzione e lo sviluppo della carriera delle donne e fornire sostegno alle iniziative di leadership femminile”.