L’uso dell’intelligenza artificiale in Italia, un mercato che è cresciuto del +32% nel solo 2022, per un valore di oltre 500 milioni di euro, trae con sé innovazione, trasformazione e cambiamento, ma anche pericoli e paure. Il 73% degli italiani è preoccupato per il proprio lavoro e, per un verso, ha ragione: secondo Distrelec, l’impatto dell’IA in Italia potrebbe riguardare circa 2 milioni di posti di lavoro entro il 2030, il numero più alto in Europa, dopo Germania e Francia.
Questo quanto emerge dall’ultima ricerca di Rome Business School, “Digitalizzazione, Big Data e AI in Italia. Etica digitale e uso dei dati” a cura di Aldo Pigoli, esperto di geopolitica e intelligence competitiva, Valentino Megale, docente dell’International MBA, William Carbone, Program Director dell’International Online Master in Artificial Intelligence e Valerio Mancini, Direttore del Centro di Ricerca di Rome Business School.
“L’Italia sta facendo dei passi da gigante per essere protagonista dell’era del digitale: da ingenti investimenti in nuovi progetti, alla ricerca e adozione di soluzioni digitali sia nelle grandi aziende che nelle PMI. Ma serve offrire una formazione specializzata, ulteriori investimenti e una maggior collaborazione tra industria, accademia, e governo, non solo per sviluppare nuove tecnologie, ma anche per proteggere la privacy delle persone e rispettare la loro dignità”, affermano gli autori.
A gennaio 2023 in Europa operano circa 130 startup nel campo specifico della generative intelligence: Regno Unito in testa con 55 startup stimate, l’Italia si posiziona ottava (Sifted, 2023). L’Italia ha assistito a una crescita del settore del +92% tra il 2019 e il 2022, passando da 260 milioni di euro agli attuali 500 milioni, e si stima che arriverà ai 700 milioni entro il 2025. Nonostante ciò, in molti indicatori a livello europeo l’Italia rimane ancora molto indietro: siamo al 17º posto su 27 Stati membri per quanto riguarda la trasformazione digitale, e addirittura al 23º per il livello generale di digitalizzazione (Commissione Europea, 2022). La situazione è preoccupante anche per il capitale umano: l’Italia si posiziona al 25º posto in termini di competenze digitali, con solo il 46% della popolazione che possiede competenze di base, surclassando solo Bulgaria e Romania. Questo dato è al di sotto della media europea del 54%. In più, solo l’1,4% dei laureati italiani sceglie discipline ICT, il dato più basso nell’UE.
L’Italia deve colmare il gap che fino ad oggi ha cumulato nei confronti degli altri grandi attori internazionali. I fondi stanziati del PNRR saranno chiave per questo: sono 48,1 i miliardi dedicati alla digitalizzazione, e pongono l’Italia come primo paese dell’Europa per investimenti in questo settore, davanti a Spagna, Francia e Grecia.
Nell’integrazione delle tecnologie digitali, l’Italia si posiziona all’8º posto nell’UE, con la maggior parte delle PMI italiane che ha un livello base di intensità digitale (60%), superando la media UE del 55%. Tuttavia, la diffusione di tecnologie più complesse come i big data e l’intelligenza artificiale è ancora limitata: il 40% delle PMI non ha figure professionali ad hoc che si occupino di analisi di dati.
La spinta verso l’adozione di queste tecnologie è forte. In Lombardia e in Lazio si trova la maggior quantità di PMI che usano l’IA, dove si è concentrato oltre il 45% della spesa in information e communication technology italiana nel 2021; seguite da Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte (29%). Gli autori evidenziano anche come Puglia e Sicilia si stanno dimostrando particolarmente dinamiche (con quasi il 4% ciascuna), dando un apporto significativo alla crescita del comparto e allo sviluppo del Mezzogiorno italiano (le altre regioni superano a malapena l’1%).
Analizzando l’uso dell’IA per settore, nel 2021 oltre l’80% delle aziende manifatturiere italiane utilizzava già macchine e sistemi basati sull’IA per automatizzare attività pericolose e migliorare la qualità dei prodotti; nell’agroalimentare, per l’Osservatorio Smart Agrifood, l’utilizzo di strumenti smart nel 2022 è aumentato del 15%.
Ad aprile 2023, gli autori della ricerca hanno svolto un sondaggio a 136 professionisti e studenti per conoscere il loro uso di ChatGPT. Il 51% degli intervistati ha dichiarato di aver usato ChatGPT e che, anche se sono a conoscenza dei rischi (55%), preferiscono continuare a usarlo perché riconoscono le opportunità che offre (65%). Nonostante ciò, solo il 42% dei partecipanti ritiene che la propria azienda o l’azienda in cui lavorerà utilizzerà ChatGPT entro il 2025.
“È possibile però, che vedano nel futuro l’uso di altri programmi di intelligenza artificiale, considerando che al momento ChatGPT è usato piuttosto per mansioni quali la composizione di saggi e strategie di marketing”, afferma Valentino Megale. Infatti, uno schiacciante 68% dei partecipanti ritiene che ChatGPT avrà un impatto positivo sul mondo del lavoro, e nonostante le paure, il 61% ha affermato di utilizzare o prevedere di utilizzare ChatGPT nella propria vita quotidiana. “Questi risultati dimostrano che esiste un reale interesse da parte delle persone a sperimentare con strumenti di intelligenza artificiale, ma ci ricorda anche quanto è fondamentale educare le persone sulle implicazioni di questo uso”.
Non solo sarà chiave formare gli utenti, ma anche gli attuali e futuri lavoratori. L’IA infatti renderà obsoleti tanti lavori per cui è necessario acquisire fin da ora nuove competenze: ruoli come il prompt engineer o prompt designer, che riguardano la progettazione delle richieste da fare ai programmi di IA e la comprensione degli algoritmi su cui si basano, saranno fondamentali nel mercato del lavoro. Attualmente, le professionalità più richieste dalle aziende sono relative all’acquisizione, gestione e analisi dei dati relativi ai processi produttivi e commerciali. “C’è una forte necessità di creare un sistema di formazione continua che permetta ai lavoratori di acquisire nuove competenze in modo rapido ed efficace, in modo da mantenere la loro ‘employability’ nel campo dell’IA e dei settori adiacenti”, afferma William Carbone.
Uno dei principali timori dell’uso dell’IA, riguarda la discriminazione algoritmica, che può portare alla negazione di posti di lavoro, prestiti o altre opportunità, oltre a trattamenti ingiusti sotto il punto di vista legale a determinati gruppi di persone. Un’altra problematica è relativa all’ignoranza o non completa comprensione da parte dei cittadini dei rischi dell’uso dell’IA, e di conseguenza essere manipolati nel condividere informazioni private senza rendersene conto. “La realtà aumentata, la condivisione dei dati e l’uso di algoritmi sempre più potenti renderanno l’IA capace di seguirci, capirci e sfidarci nei più variegati contesti”, afferma Valerio Mancini. “Come proteggere la nostra privacy è una delle più grandi prove a cui i governi devono far fronte. Devono cogliere quest’opportunità per rafforzare la loro legittimità, l’inclusione e la soddisfazione dei cittadini”.
In Italia non esiste ancora un quadro normativo completo sull’etica dell’IA, ma si sta lavorando per sviluppare linee guida, istituire centri di ricerca sull’etica, e promuovere campagne di sensibilizzazione pubblica. Infatti, l’Italia è stata la prima tra i paesi europei a muoversi concretamente per salvaguardare gli utenti nei confronti di ChatGPT.
“L’Italia ha senza dubbio fatto da apripista, creando un precedente che servirà a informare altre analoghe iniziative (non solo europee) e che rappresenterà un riferimento soprattutto per un dibattito europeo orientato a creare regole comuni per paesi membri”, afferma Aldo Pigoli.
A livello europeo, l’Unione sta prendendo misure quali la Convenzione 108+, che dovrebbe entrare in vigore ad ottobre e mira a regolare il trattamento dei dati personali e facilita i trasferimenti internazionali di dati. Inoltre, è in fase di studio l’Artificial Intelligence Act (AIA) per regolare lo sviluppo e l’uso dell’IA, con requisiti più severi per i sistemi ad alto rischio. Se verrà adottata, sarà uno dei regolamenti IA più severi al mondo.
I dati e le tecnologie digitali impatteranno sempre di più sul valore economico e sociale delle imprese, sono già indispensabili per prendere decisioni competitive, gestire processi e coinvolgere stakeholder. La “data-based economy” sta evolvendo verso una “data economy”, in cui i dati diventano l’elemento centrale della produzione, delle transazioni e degli investimenti. Secondo uno studio svolto da EY Tech Horizon nel 2022, il 50% degli imprenditori italiani intervistati ha già attivato importanti trasformazioni digitali, contro il 39% del resto del mondo. I loro principali trend di investimento sono Data e Analytics (22%), Internet of Things (20%), Cloud (18%) e IA (15%).
L’intelligenza artificiale offre opportunità straordinarie per migliorare la vita, affrontare problemi globali e promuovere il progresso scientifico. Tuttavia, ci sono rischi significativi e senza precedenti da considerare.
“È fondamentale che i governi e le istituzioni si impegnino a proteggere i cittadini senza ostacolare l’innovazione, promuovendo l’uso etico e responsabile dell’IA e sostenendo la crescita economica che ne deriva. È necessario rafforzare i sistemi esistenti e concentrarsi sulla formazione e lo sviluppo delle competenze per creare una forza lavoro preparata e consapevole”, conclude Aldo Pigoli.